I criteri DSM-IV per l’ADHD e la letteratura relativa definiscono i comportamenti di inattenzione e iperattività come anormali e differenti dalla norma, usando come elemento chiave il numero dei sintomi. Se il bambino manifesta sei dei nove sintomi di inattenzione o sei dei nove di iperattività/impulsività, al bambino si attribuisce la diagnosi di ADHD. In entrambe le categorie di sintomi, questi sono etichettati con item del tipo “è spesso distratto nelle attività quotidiane”, “spesso parla eccessivamente”. Nessuno ci dice che cosa si intenda per “spesso” o “eccessivamente”. Se i sintomi sono cinque, la diagnosi non si pone; se sono sei, il bimbo ha la diagnosi. Quindi quello che rende questi comportamenti un disturbo non è tanto la caratteristica intrinseca del sintomo, o la qualità della interazione con gli adulti, quanto piuttosto la loro numerosità fino al livello di sei. Si tratta di una decisione del comitato di esperti DSM, che fissa arbitrariamente i livelli sopra i quali inattenzione, iperattività e impulsività diventano patologia. Molti osservatori hanno messo in dubbio la solidità di questo approccio del tutto soggettivo [8,9]. Il principale problema nasce dal fatto che questi comportamenti derivano probabilmente da varie fonti, e in particolare possono essere normali variazioni del temperamento. Ciò che li fa clinicamente rilevanti non è quindi necessariamente il loro numero, ma piuttosto una interazione negativa di uno qualsiasi di questi con le aspettative e le risposte dell’ambiente di vita. Sono la cattiva interazione e il cattivo adattamento tra questi due elementi che amplificano il problema comportamentale e lo rendono disfunzionale. Il grande corpo di ricerca che riguarda il temperamento infantile e il suo significato clinico hanno una grandissima mole di implicazioni che non sono state prese in nessuna considerazione dal sistema diagnostico del DSM. I lavori di Chess e Thomas e di molti altri Autori tra cui Carey e Mc Devitt hanno dimostrato che, benché la patologia dell’ambiente, del bambino o di entrambi, possa essere responsabile del malfunzionamento del bambino, ci sono per contro molti casi in cui la radice patogena è piuttosto in una interazione disadattata tra un bambino normale e un ambiente normale ma incompatibile con quel bambino.
Ogni essere umano ha dei tratti temperamentali geneticamente predefiniti, che sono stati descritti come attività, regolarità dei ritmi biologici, evitamento ad avvicinamento a situazioni di novità, adattabilità, intensità delle reazioni emotive, umore prevalente, tempo di attenzione, distraibilità, soglia di attenzione sensoriale. Nella popolazione generale questi nove tratti variano dal basso all’alto: da alta a bassa attività, da alta a bassa adattabilità, e così via. Queste variazioni di per sé sono normali. Perciò una metà della popolazione è più attiva dell’altra, una metà è meno attenta dell’altra, senza che questo implichi una anormalità.
Tuttavia alcuni tratti temperamentali possono comportare un cattivo adattamento e una cattiva interazione con i valori e le aspettative degli adulti. Il temperamento “difficile”, definito da bassa adattabilità, umore negativo, alta intensità emotiva, può portare il bambino a sviluppare problemi comportamentali sociali, come dimostrato da Thomas, Chess e Birch già nel 1968 e poi da molti altri. Il temperamento con “basso orientamento al compito” definito da alta attività, bassa attenzione, alta distraibilità, può invece portare il bambino a uno scarso rendimento scolastico, come dimostrato da Keogh e Martin. Inoltre ogni tratto temperamentale può essere un potenziale fattore di rischio in un ambiente con questo dissonante, ad esempio un bambino poco attivo in una famiglia di atleti e di sportivi che si aspetta un figlio attivo.
Questi tratti temperamentali, anche se estremi, che espongono al rischio di disfunzioni sociali o scolastiche, non necessariamente tuttavia si traducono in problemi di salute. Bambini “difficili” possono essere comportamentalmente adeguati se la famiglia e l’ambiente sono sufficientemente capaci di accettarli e supportarli . I bambini con “basso orientamento al compito” possono avere risultati scolastici soddisfacenti se la famiglia è supportiva e se hanno una buona capacità intellettiva . Uno studio longitudinale ha dimostrato che solo la metà di quelli con valori estremi di iperattività, inattenzione e alta distraibilità hanno problemi scolastici; l’altra metà ha un rendimento scolastico sufficiente o buono [11]. Ciò che sembra significativo per provocare la disfunzione del bambino non è tanto il numero dei tratti temperamentali lontani dalla media quanto piuttosto se c’è o meno una buona o cattiva adattabilità (“fit”), buona o cattiva interazione, tra questi tratti e le richieste di quel particolare ambiente di vita.
Un altro problema che contribuisce alla insufficiente chiarezza dei criteri diagnostici del DSM è indubbiamente lo studio dei metodi usati. L’indagine diagnostica infatti è basata su campioni clinici di popolazione autoselezionati. Se uno esamina l’alta attività e la bassa attenzione solo in campioni clinici, non può valutare la frequenza con cui questi tratti compaiono anche in bambini normali. Un confronto tra 40 bambini inviati allo specialista per comportamenti fortemente iperattivi e 30 bambini di controllo parimenti iperattivi ma non inviati ha mostrato che “il miglior predittore dell’invio clinico erano la inabilità dei genitori a fronteggiare il comportamento del bambino, i disturbi emozionali del bambino, i problemi scolastici, lo stile educativo genitoriale permissivo”. Studi longitudinali hanno mostrato che questi bambini normalmente funzionanti con iperattività e inattenzione non sono ADHD non diagnosticati ma sono bambini sostanzialmente normali.
In sintesi la formulazione diagnostica corrente di ADHD, che subordina la diagnosi a un certo numero di espressioni comportamentali, ignora il fatto che questi comportamenti sono tratti temperamentali fondamentalmente normali che possono comportare un disadattamento non tanto per il loro numero ma per il fatto che ognuno di questi può provocare una interazione disfunzionale tra il bambino e un ambiente con lui incompatibile.