Di Consuelo Canducci, per Linkiesta.it
Ieri vagavo nel Deep Web. Postaccio, lo so. Ma leggi che ti leggi, ho scoperto una cosa molto interessante. Un dato, per l’esattezza. Si sa che tra i vari articoli off limits in vendita nella Dark Net ci sono un’infinità di sostanze stupefacenti, farmaci e psicofarmaci di ogni tipo, letali e non. Secondo una ricerca fatta da Trend Micro e chiamata “Below The Surface: Exploring The Deep Web” la merce più comprata sul Deep Web è la Cannabis (31,60), seguita da prodotti farmaceutici, seguiti a loro volta da droghe pesanti. E sapete qual’è il prodotto farmaceutico più venduto? Il Ritalin.
Il Ritalin è un farmaco che viene “comunemente” utilizzato per il trattamento della sindrome da deficit di attenzione e iperattività (ADHD) in bambini e adolescenti, e la molecola che lo compone è il METILFENIDATO, sostanzialmente una anfetamina. Sostanzialmente, una droga. In Italia il Ritalin è stato introdotto sul mercato nel marzo 2003 con decreto ministeriale. Prima apparteneva alla tabella I degli stupefacenti con la cocaina, eroina e le altre droghe pesanti.
Ed è per questo che nel mercato nero il metilfenidato viene usato come vera e propria droga ricreativa. Molti ragazzi lo acquistano in rete e lo consumano per aumentare le prestazioni scolastiche, altri solo per sballarsi. Tritate e ridotte in polvere le pillole di Ritalin vengono consumate al posto della cocaina. Oggi la sua somministrazione è “monitorata sul campo’’ attraverso il Registro nazionale dei trattamenti per la sindrome da deficit di attenzione e iperattività. Tuttavia, se si pensa che il numero di bambini a cui viene diagnosticata la ADHD è in crescente aumento nel mondo, così come sono in crescente aumento le false diagnosi e le diagnosi sbagliate, e sommando a queste una notevole mancanza di informazione da parte delle famiglie, si fa presto ad immaginare il grandissimo numero di prescrizioni dannose di questo genere di psicofarmaci.
Esaminando la situazione in Italia, i minori in età pediatrica (0/14 anni) sono 8.103.000, e quelli a cui potrebbe essere diagnostica l’ADHD secondo i correnti metodo di diagnosi sono almeno 162.000, mentre sarebbero 737.000 i minori in età pediatrica che soffrirebbero di disagi o turbe mentali (tutte le patologie) secondo i risultati del progetto di screening “PRISMA”. Proprio e solo grazie ai sistemi restrittivi di diagnosi e terapia propri del “modello italiano” si è riusciti a comprimere questi numeri allarmanti, con il risultato che ad oggi i bimbi ADHD in Italia sono qualche migliaio, probabilmente non più di 10.000.
Con tutti questi dati che mi giravano per la testa, ho pensato di fare due chiacchiere a propostio con Luca Poma, giornalista da sempre impegnato nel mondo delle politiche giovanili, del sociale e della difesa dei diritti delle minoranze, portavoce nazionale della campagna “GiuleManidaiBambini” e segretario generale della Federazione Volontari Ospedalieri. E mi ha confermato che in moltissimi casi la diagnosi dell’ADHD nei bambini è fatta in modo inadeguato: il bambino/ragazzo non studia? Non sta attento in classe? Non riesce a stare fermo, disturba i compagni, insomma, sembra un caso perso “anche se sembra molto intelligente?” Allora soffre di ADHD. Un’equazione dannosa e spesso priva di fondamento.
Ma dato che un argomento tira l’altro, Luca Poma ha subito colto l’occasione per spostare il focus su un problema che secondo lui è ben più grave rispetto alla somministrazione del Ritalin nel nostro paese (per nulla paragonabile alla situazione negli USA, dove circa il 13% della popolazione scolastica ingurgita Ritalin come fossero caramelle): la depressione adolescenziale, che negli ultimi anni è aumentata esponenzialmente, afferma lui, “ed è diventata terra di conquista da parte delle case farmaceutiche che anche in Italia stanno tentando una penetrazione sempre più invasiva, con diagnosi di depressioni da curare con psicofarmaci. Perché si sa, la prescrizione di una pasticca rappresenta la risposta più rapida rispetto a costose terapie psicologiche”.
Per trattare la depressione nei bambini e ragazzi il principio attivo più somministaro è la paroxetina (Daparox, Dapagut, Dropaxin, Eutimil, Sereupin, Seroxat, Stiliden). Ve la ricordate? Nel 2015 la rivista British Medical Journal aveva smentito lo studio risalente al 2009 della multinazionale farmaceutica GlaxoSmithKline, che affermava l’efficacia e la non pericolosità della paroxetina. Secondo l’autorevole rivista, la Glaxo aveva falsato i dati che giustificavano la prescrizione a bambini e adolescenti di un potente antidepressivo a base di paroxetina. E’ venuto fuori un vero scandalo quando si è scoperto, 14 anni dopo, che la paroxetina poteva causare danni “clinicamente significativi”. Tra i quali gravi sindromi da assuefazione e rischio di pensieri e comportamenti suicida, riscontrati soprattuto in persone che erano depresse. La paroxetina è una molecola che viene somministrata non solo in casi di depressione, ma anche a chi soffre di disordine da panico, disordine di ansia generalizzata, e disordine ossessivo – compulsivo. Spesso con modalità “fai-da-te”, come nel caso del trattamento della eiaculazione precoce, ad esempio. Molti ragazzi e adulti non hanno la minima idea degli effetti collaterali dannosi, che vanno da forti sbalzi di umore ad aggressività fuori controllo.
Il livello di allarme non può che essere altissimo. Inoltre ci troviamo di fronte a unamolecola blockbuster, cioè, che vende per più di un miliardo di dollari l’anno. In poche parole, una gallina dalle uova d’oro. Ed è anche “off label”, ovvero, al di fuori delle indicazioni terapeutiche approvate dal Ministero. E dunque la più utilizzata. Una situazione paradossale. Inoltre non è nemmeno approvata per l’impiego nei pazienti con età inferiore ai 18 anni. Ci ritroviamo con numerosi psichiatri e ricercatori che hanno colluso – spesso in maniera consapevole – con questa dinamica di mercato. E l’età della somministrazione di psicofarmaci si è abbassata dai 18 agli 8 anni, e così si rischia di avere una generazione di tossicodipendenti. Il 10% dei minori in italia fa uso di farmaci senza ricetta e il mercato nero, come vi ho detto all’inizio di questo lungo post, funge da distributore automatico di antidepressivi e non solo.
Le evidenze sulla pericolosità dei psicofarmaci antidepressivi somministrati ai minori ormai sono ben documentate e in costante aumento. Peccato che il Ministro Lorenzin paia non sentirci. Nel novembre 2015 aveva annunciato l’apertura di un tavolo tecnico di consultazione per valutare l’eventuale stesura di linee guida più stringenti sulla somministrazione di queste molecole a bambini e adolescenti, ma per ora – dopo varie riunioni del tavolo – tutto ancora tace, e non sono all’orizzonte iniziative concrete.
Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms) entro il 2030 la depressione sarà la malattia cronica più diffusa. E considerando che il 50% dei disturbi neuropsichici dell’adulto ha un esordio in età evolutiva, sarebbe il caso di muoversi. Innanzitutto combattendo la medicalizzazione dei minori, trattati sempre più come clienti delle aziende farmaceutiche e non come pazienti. E’ fondamentale ricordare che i farmaci rappresentano la soluzione in casi particolarmente
gravi di disagio psichico. Ma purtroppo, oltre che con la sudittanza a BigPharma, dobbiamo fare i conti con i forti preconcetti che ancora esistono nei confronti della psicoterapia, con la banalizzazione da parte di molte famiglie del disagio giovanile e non ultimo, con la totale assenza di investimenti in un settore che è fondamentale per la salute della popolazione.