Fonte: Il Tam Tam – di: Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani onlus
Un crescente numero di ricercatori lo conferma: alla lunga, non si nota alcun miglioramento di voti o sulla percentuale di bocciature tra bambini ADHD in cura con farmaci e quelli che non ne assumono.
Non ci sorprendiamo più nel sentire di bambini con disturbo da deficit d’attenzione e iperattività in cura con farmaci per migliorare il loro rendimento scolastico, ma studi recenti evidenziano una contraddizione: non c’è prova che i farmaci aumentino davvero il rendimento scolastico.
Gli stimolanti anfetaminici usati per trattare ADHD, come Ritalin e Adderall, vengono a volte chiamati “stimolatori delle capacità cognitive” perché un numero di studi avrebbe dimostrato la loro capacità di aumentare attenzione e concentrazione e memoria nel breve termine. Farmaci simili venivano somministrati ai soldati durante le seconda guerra mondiale per migliorare il loro stato di allerta mentre cercavano aerei nemici su schermi radar.
In giugno è stato pubblicato uno studio in cui si confrontavano assunzione di farmaci e rendimento scolastico di quasi 4000 studenti (età media 11 anni) in Quebec, Canada. I ragazzi trattati con farmaci per ADHD mostravano un rendimento peggiore rispetto ai ragazzi con ADHD non sottoposti a trattamento farmacologico, mentre per le ragazze, il gruppo che assumeva farmaci riferisce maggiori problemi emotivi. La ricerca è stata pubblicata dal National Bureau of Economic Research, un ente di ricerca senza scopo di lucro (ed esente da conflitti d’interesse con case farmaceutiche).
La domanda sorgeva dunque spontanea: se questi stimolanti anfetaminici possono migliorare l’attenzione, come mai non sembrano produrre risultati scolastici sul lungo periodo? Tanto più che tra gli adolescenti si va sempre più diffondendo la moda di assumere queste sostanze per migliorare i loro risultati scolastici, anche in assenza di una prescrizione o di una diagnosi.
“Non credo ci sia alcuna prova dell’utilità nel migliorare le capacità cognitive in individui non affetti da ADHD” dice il prof. James Swanson, dell’Università della California a Irvine. Questo fatto rimane inspiegabile visto l’innegabile funzionalità di questi stimolanti anfetaminici nel migliorare concentrazione e memoria. Per esempio, in uno studio della professoressa Claire Advokat, dell’Università della Louisiana, i ragazzi con ADHD non curati con medicine avevano più difficoltà a ricordare scene viste o raccontate rispetto ai ragazzi in cura con la medicina.
Ma non c’è prova che questo risultato si trasformi in miglior rendimento scolastico – tantomeno sul lungo periodo. Uno studio commissionato dal governo USA (MTA – Multimodal Study of Children with ADHD) prese in considerazione 579 bambini ADHD divisi a caso in tre gruppi: bambini in cura con sola terapia psicoeducativa e comportamentale, bambini con solo trattamento farmacologico e bambini con una combinazione dei due trattamenti.
Nel corso del primo anno i bambini di 8-9 anni sottoposti a trattamento combinato mostravano un maggiore miglioramento dei sintomi ADHD rispetto agli altri due gruppi, e tutti i bambini trattati con farmaci miglioravano le loro prestazioni scolastiche durante il primo anno ma in maniera molto lieve. A tre anni, però, tutti i miglioramenti – relativi sia ai sintomi sia al rendimento scolastico – scomparivano del tutto e non si trovavano più differenze tra i tre gruppi. Un ulteriore confronto effettuato a otto anni di distanza, ha confermato l’assenza di differenza tra i tre gruppi riguardo il rendimento scolastico, dimostrando in maniera eclatante l’assoluta assenza di risultati sul lungo periodo.
Alcuni sostengono che questi farmaci si dimostrano efficaci nel migliorare il comportamento a scuola (come star seduti e tranquilli e non interrompere l’insegnante) ma non agiscono sui altri fattori che sono importanti ai fini scolastici quali l’interesse e il sostegno della famiglia. In sostanza le medicine aiuterebbero la capacità di concentrazione, ma non aiuta nella scelta del soggetto su cui concentrarsi. Per assurdo, l’aumentata capacità di concentrazione può persino rivelarsi controproducente nello studio, come nel caso di una ragazza riferito da Martha Farah – neuroscienziata cognitiva presso l’Università della Pennsylvania e Direttrice del Centro di Neuroscienze e Società: se andava in biblioteca dopo avere assunto il farmaco riusciva a concentrarsi maggiormente sullo studio, ma se veniva distratta da un’amica, si concentrava con uguale intensità sulle chiacchere di quest’ultima. Altri ragazzi riferivano di ritrovarsi completamente concentrati su altre cose, ad esempio pulire la loro cameretta in maniera maniacale, piuttosto che studiare.
La dottoressa Farah ha rilevato anche la completa assenza di miglioramento scolastico o altri test (inclusi test psicologici, neurocognitivi e di QI) su bambini non ADHD che assumono stimolanti. Il suo studio è stato pubblicato sulla rivista Neuropharmacology.