Fonte: DyDNaturalBirth
Con l’introduzione in Italia di alcuni potenti psicofarmaci per minori (Ritalin® e Strattera®, ma anche il Prozac® è stato recentemente autorizzato per i bambini dagli otto anni in su) sono stati approvati dall’Istituto Superiore di Sanità e dall’Agenzia Italiana del Farmaco i relativi protocolli che dovrebbero regolare la prescrizione e la somministrazione di molecole psicoattive ai bambini iperattivi, sofferenti della cosiddetta “ADHD” (Sindrome da Iperattività e Deficit di Attenzione) Tali protocolli sono stati criticati da una parte significativa della comunità scientifica nazionale in quanto “troppo permissivi” nei passaggi che regolano l’utilizzo di questi prodotti, e nel 2007 – a soli due mesi dall’approvazione – sono stati attivati due tavoli per valutare un’ipotesi di revisione dei protocolli in senso più restrittivo. In quest’intervista a tutto campo a Luca Poma – giornalista e portavoce di “Giù le Mani dai Bambini” – approfondiamo alcuni argomenti di stringente attualità: la somministrazione di psicofarmaci ai minori, le pressioni delle multinazionali, l’inerzia degli organismi sanitari di controllo e molto altro. Il punto della situazione in Italia e quello che non è mai stato detto su questa delicata tematica, che riguarda da vicino ognuno di noi…
Domanda: Dopo la reintroduzione in commercio anche in Italia di questi psicofarmaci per bambini agitati e distratti, “Giù le Mani dai Bambini” – ma non solo – ha ‘amplificato’ le proteste di una parte della comunità scientifica e della società civile. Perché – nonostante un ricorso al TAR del Lazio – non siete riusciti a bloccare in principio la commercializzazione di queste molecole?
Risposta: Premesso che il ricorso al TAR è ancora pendente e dovrà essere discusso, vorrei articolare la risposta – brevemente – in due passaggi. Primo: gli interessi delle multinazionali del farmaco sono molto ben rappresentati, anche in Italia all’interno delle nostre istituzioni, la ‘capacità di fuoco’ di queste aziende – attente innanzitutto ai profitti – è davvero elevata. Come ebbe a dire Loris Jacopo Bononi, già elemento di punta della Pfitzer, “solo chi ha vissuto le multinazionali del farmaco dall’interno ne ha chiara l’inaudita potenza”. Secondo: siamo da sempre convinti che la partita vada giocata non tanto sul “vietare” qualcosa, quanto sull’informazione per una scelta consapevole. Il grande lavoro che stiamo facendo da quattro anni a questa parte è quello di sensibilizzare le famiglie, informarle dei rischi di queste terapie a base di psicofarmaci, dell’inutilità di strategie terapeutiche “tampone” che non risolvono nulla. Su questo piano siamo vincenti, la percezione del problema in Italia è radicalmente cambiata nell’ultimo periodo, con buona pace del business di big pharma, il cui marketing sui bambini – su questi temi – sta trovando meno spazio in Italia. Ma bisogna continuare, e tenere altissima la soglia di vigilanza sul problema.
D: Alcuni dirigenti dell’Istituto Superiore di Sanità sostengono ai convegni che in Italia si prescrivono molti meno psicofarmaci che in altri paesi del mondo. E’ vero?
R: Non certo per merito loro, non solo, perlomeno. “Giù le Mani dai Bambini” fa il suo ingresso sulla scena italiana quando l’ISS era prossimo a rendere disponibile il modulo di consenso informato che le famiglie devono firmare prima di poter somministrare lo psicofarmaco al proprio figlio: mancavano la metà degli effetti collaterali “perché – dicevano alcuni – è inutile scrivere tutto, tanto la gente non legge”. Incidentalmente, gli effetti avversi non segnalati erano i più gravi. Ebbene, dal momento che per stessa ammissione del’ISS quei documenti erano il frutto di un anno e mezzo di lavoro del loro staff, delle due l’una: o i funzionari sono corrotti, e non ho motivo di pensarlo, oppure – ed è più probabile – sono così appiattiti sulle certe posizioni da non rendersi neppure conto della direzione che rischia di prendere l’intera questione. Per questo ultimamente nell’ambiente accademico alcuni hanno preso a chiamarli “piccoli notai dell’Adhd”: il loro interesse – questo perlomeno è quello che traspare dalle azioni di diversi tra questi personaggi – è quello di mantenere lo ‘status quo’ ed applicare alla prescrizione di psicofarmaci ai bambini quel grado di prudenza sufficiente a non rendersi ulteriormente attaccabili dall’opinione pubblica.
D: Psicofarmaci solo nei casi estremi, e sotto stretto controllo medico?
R: Queste sono chiacchiere, frasi fatte che abbiamo sentito mille volte, utili per la propaganda, per dipingersi come “accorti e prudenti”. Il dirigente di un organismo sanitario di controllo mi ha confessato pochi giorni fa via e-mail di essere convinto che con le prescrizioni di psicofarmaci relativamente basse in Italia “si sta negando l’accesso agli psicofarmaci a bambini che ne trarrebbero giovamento”. Quando sento queste cose inorridisco, come se lo psicofarmaco fosse la soluzione ideale per bambini con problemi del comportamento. Il fatto è che – al di la delle chiacchiere buone per il grande pubblico – questo è quello che pensano veramente questi signori. Ci muoviamo su di un terreno pericoloso come le sabbie mobili, non credete mai alle versioni che sentite ai congressi, elaborate con cura dagli uffici stampa di questi enti: a loro sta bene che questi psicofarmaci vengano somministrati ai nostri bambini, questa è la verità. Per loro sono una soluzione opportuna ed efficace, sennò non bloccherebbero con pretesti e lungaggini burocratiche le modifiche restrittive e prudenziali ai protocolli diagnostici e terapeutici richieste da parte del Parlamento e della comunità scientifica.
D: E l’Agenzia Italiana del Farmaco come si comporta?
R: Per la prima volta nella storia della Repubblica, una Commissione d’Inchiesta sul Servizio Sanitario Nazionale – nella legislatura appena ultimata – ha aperto un dossier per sospetti conflitti d’interesse di buona parte del Consiglio d’Amministrazione dell’AIFA. Pare non siano poi emersi rilievi tali da giustificare segnalazioni alla magistratura, anche se mi piacerebbe sapere cosa pensano all’AIFA della nostra proposta di pubblicare per ognuno dei loro funzionari e consulenti – a tutto beneficio della cittadinanza – i rapporti finanziari diretti ed indiretti che li legano ai produttori di farmaci. Su temi come questi attendiamo ancora risposta, la verità probabilmente è che si desse seguito a questa proposta si rischierebbe di dover smantellare buona parte dell’Agenzia.
D: Può fare un esempio pratico di quanto sostiene?
R: Certamente, ed è uno tra i tanti. L’EMEA, ovvero l’Agenzia Europea del Farmaco, che ‘curiosamente’ dipende dalla Direzione Generale Industria e non dalla DG Sanità, ha deliberato su richiesta della casa produttrice Ely Lilly® la possibilità di somministrare il Prozac® a bambini di otto anni. Lasciamo per un istante da parte le valutazioni di merito afferenti la decisione di somministrare un potente psicofarmaco in così tenera età, e concentriamoci sulla reazione dell’AIFA. L’Italia ha recepito questa raccomandazione, e di fronte alle proteste nostre e di altre ONG i vari funzionari di ISS ed AIFA hanno alzato le braccia al cielo dicendo che “trattandosi di una delibera Europea non si poteva fare nulla”. Questo è falso: il Codice Farmaceutico – che è la legge dello Stato che regola i rapporti in tema di farmaci tra i produttori, l’Italia, e l’Unione Europea – dice molto chiaramente all’articolo n° 43 che l’AIFA “in caso di rischio potenziale grave per la salute pubblica può non approvare il rapporto di valutazione sul farmaco, il riassunto delle caratteristiche del prodotto, l’etichettatura od il foglio illustrativo predisposti, comunicando la motivazione approfondita della propria posizione a tutti gli altri Stati membri interessati e all’industria richiedente”, avviando di fatto un contenzioso o richiedendo comunque misure più restrittive. Noi abbiamo sollevato questo problema con l’AIFA, e non dico che loro non sono riusciti a far valere principi di maggiore prudenza: dico che neppure ci hanno provato!
D: Ora, una recente revisione completa delle ricerche scientifiche sul Prozac® ha provato che è poco più efficace di una pillola di zucchero. Come commenta questa notizia?
R: Il Prozac® è stato definito da alcuni medici come una “fabbrica di malattie”, tanti sono i potenziali effetti collaterali. Lo si assume, e poi si ha necessità di altri medicinali per proteggere il fegato, perché è potenzialmente epatotossico, altri per il cuore, per evitare complicazioni cardio-circolatorie, altri per il problema dell’induzione al suicidio, etc. Come si possa autorizzare l’uso di una molecola del genere su di un bambino di otto anni è un mistero. Come poi si possa non intervenire in Italia per non dico bloccarne la commercializzazione, ma perlomeno approvare norme più restrittive, rigide e prudenti, nonostante il problema sia stato sollevato e lo strumento legislativo permetta quest’intervento, è un comportamento deontologicamente e moralmente incommentabile. La delibera Europea a tal proposito dice che si potrà somministrare “solo dopo 4 sedute di psicoterapia senza risultati apprezzabili”: ma chi vogliono prendere in giro? Neanche Freud e Jung alla stessa scrivania in sole quattro sedute otterrebbero qualcosa, quindi questa delibera ci sta in realtà dicendo “lo vogliamo dare a chiunque”.
D: Torniamo all’iperattività dei bambini. E’ una malattia?
R: Che ce lo provino. Ad oggi nessun marcatore biologico dell’iperattività è mai stato individuato, non esiste alcuna prova certa che l’essere distratti, agitati ed incontrollabili – in nessuna forma ed intensità – sia una malattia di origine biologica. Tutti gli studi che tendevano a provare questa circostanza sono stati successivamente confutati per grave pregiudizio editoriale. Un esempio tipico sono le ricerche effettuate con il supporto della “neuroimmagine” che volevano provare che la struttura cerebrale dei bimbi iperattivi sarebbe differente da quella dei bambini normali: peccato che si siano ‘dimenticati’ di evidenziare che i bimbi usati per questi esperimenti erano già in cura con psicofarmaci, con il risultato che non sapremo mai se le lievi differenze riscontrate a livello cerebrale siano imputabili alla presunta malattia od al farmaco stesso, che com’è noto altera l’equilibrio neurologico. Tutte le ricerche citate ‘a pappagallo’ dalle associazioni genitoriali favorevoli alla somministrazione di psicofarmaci ai bambini sono parziali, frutto di un’impostazione preconcetta, non sono veramente indipendenti dagli interessi dei produttori, ed infine sono scientificamente confutabili. E comunque, per ognuna di esse se ne possono citare due che sostengono esattamente il contrario, quindi – come minimo – la prudenza su questi temi dovrebbe essere la parola d’ordine.
D: Se non è una malattia, cos’è?
R: Vorrei precisare che non dobbiamo commettere l’errore di derubricare a semplice “vivacità” certi problemi di comportamento: un bambino che non sta seduto per più di 10 minuti, che prende a forbiciate i compagni, insulta la maestra, si arrampica sulle tende, scappa dai genitori ad ogni occasione, urla al cinema e tira giù a calci gli scaffali dei supermercati non è solo “un po’ vivace”. Vede, chi sostiene questo, oltre che esporsi alle facili – ed in questo caso del tutto comprensibili – critiche degli ‘sponsor’ della soluzione farmacologica, non rende soprattutto un buon servizio al bambino stesso: certi disagi vanno comunque presi in carico. La domanda seria da porci casomai è: “che tipo di risposta noi adulti diamo a questo disagio”. Ovvio che se diamo retta agli imbecilli che preferiscono non intervenire mai in alcun modo sul bambino, lasciamo la strada aperta a coloro che ritengono di poter risolvere tutto sedando il bambino con una molecola psicoattiva. Ma esiste una corretta contemperazione tra la necessità di risolvere un disagio e la necessità di non drogare un organismo in via di sviluppo: la scienza ha molto da dire senza bisogno di somministrare uno psicofarmaco ad un minore, e sono tanti i protocolli non farmacologici scientificamente testati e risultati efficaci. L’ADHD – secondo il parere dei nostri medici e specialisti, è “una costellazione aspecifica di sintomi”: l’iperattività è infatti un sintomo presente in oltre duecento vere patologie, come dimostrano centinaia di ricerche scientifiche sistematicamente ignorate o sottovalutate dagli organismi di controllo sanitario, ben selezionate e ripubblicate dal Prof. Claudio Ajmone, che – tra i primi nel nostro paese a studiare ed approfondire il fenomeno – giustamente non si stanca mai di porre l’accento sull’imprescindibile necessità di ‘saper differenziare’, invece che correre dietro alle mode e fare di tutta l’erba un fascio con una facile diagnosi psichiatrica che tranquillizza le coscienze di alcuni, deresponsabilizzandoli. Ha ragione il vostro Bill Carey, pediatra di un’umanità straordinaria ed eccezionale professore, quando ci mette in allerta dai pericoli del metodo “quick-fix” americano, le “soluzioni facili ai problemi complessi”.
D: Può chiarire brevemente questo aspetto? Penso sia di grande interesse per i lettori.
R: Come ci ricorda il competente Psichiatra Paolo Roberti di Sarsina, ad esempio sono numerosi gli studi che puntano il dito sulle intolleranze alimentari. Oppure sui coloranti e conservanti, come sostiene una ricerca recentemente pubblicata dall’autorevole rivista scientifica Lancet, od ancora sull’eccesso di metalli pesanti nel sangue. Se il bimbo ha un problema di questo tipo, che genera iperattività, e noi invece di notare il campanello d’allarme dell’iperattività, soffochiamo il sintomo con uno psicofarmaco, stiamo rendendo un pessimo servizio al bambino, per almeno quattro motivi: primo, lui continuerà ad essere intossicato, non è certo la somministrazione di un farmaco psicoattivo che sanerà il suo problema; secondo, scompare quell’agitazione del minore che ci pone in allarme denunciando l’esistenza del problema stesso; terzo, esponiamo il bambino ai potenziali effetti collaterali di uno psicofarmaco; quarto, lo educhiamo alla pericolosissima cultura della “pastiglia che risolve ogni problema”.
D: Alcune ricerche sull’iperattività puntano il dito sugli effetti nefasti della televisione come ‘baby-sitter’ dei più piccoli…
R: Questo è un altro spunto interessante: i bambini che guardano due o più ore di televisione al giorno sono destinati ad avere seri problemi di concentrazione ed iperattività da adolescenti, fino al 40% in più della norma. Questi sono i risultati di uno studio scientifico svolto in Nuova Zelanda analizzando la salute e i comportamenti di più di mille bambini, pubblicato sulla rivista scientifica americana ‘Pediatrics’. L’iperattività in questo caso è generata dall’eccessiva velocità dei “frame”, i fotogrammi che si alternano con i continui e rapidissimi cambiamenti di scena, e che stimolano eccessivamente i delicati cervelli in formazione. “Questi bambini sembrano diventare intolleranti nei confronti di qualsiasi attività a ritmo più lento, quale lo studiare, l’andare a scuola, il giocare con i compagni”, si legge nello studio. Ebbene, mi chiedo come queste realtà possano essere così sistematicamente e colpevolmente ignorate da alcuni. E’ davvero folle e semplicistico – dinnanzi ad uno scenario così complesso – ricondurre tutti i tipi di iperattività sotto l’unica etichetta di “ADHD”, è scientificamente assurdo: chi oggi lo fa, non si rende conto che consegna il proprio nome al ridicolo, agli occhi della scienza futura.
D: Ma lo psicofarmaco ha comunque degli effetti, quindi non è inutile. Se Lei fosse medico lo prescriverebbe?
R: Io sono un giornalista scientifico e non un medico, ma conosco numerosi medici e psichiatri che non lo prescrivono e non lo prescriverebbero mai. Sono tutti intelligenti i medici che lo prescrivono e tutti ‘oscurantisti medioevali’ i loro colleghi che non lo prescrivono? Non penso. Lo psicofarmaco è relativamente utile perché – come dice Emilia Costa, professore emerito di Psichiatria all’Università di Roma “La Sapienza” – è “una camicia di forza chimica”, quindi soddisfa le esigenze di noi adulti, mette sotto controllo il comportamento del bambino e lo rende ‘socialmente più accettabile’. Le confesso una verità: se dovessi occuparmi – cito un caso estremo – di un bambino pericoloso per se stesso e per gli altri, forse prenderei in esame anche la somministrazione di uno psicofarmaco, per evitare il peggio. Non riuscirei a sopravvivere al rimorso, sapendo che avrei ad esempio potuto evitare il suicidio di un ragazzino e non l’ho fatto, vittima di una posizione “ideologica”. Ma questo dimostra appunto che la nostra posizione ideologica non è. Questi aspetti sono ben presenti nel nostro lavoro, ci confrontiamo spesso anche con gli specialisti, come dimostra la collaborazione ed il confronto da lungo tempo in corso con Enrico Nonnis, preparatissimo neuropsichiatra infantile di Psichiatria Democratica. E comunque – vorrei aggiungere – parliamo in astratto, perché una cosa dev’essere chiara: quanti di questi casi estremi avrebbero potuto venir presi in carico prima di sfuggire di mano e rendere inevitabile l’uso di un farmaco contenitivo? Ma qui non si parla di utilizzare un farmaco per ‘limitare un danno irreversibile’, per pochi giorni, e passare poi ad altre terapie, per indagare il disagio profondo del minore: qui abbiamo adolescenti che sono in cura con psicofarmaci da 1, 2, 5 anni, perché i genitori dicono che “da quando prende lo psicofarmaco il sintomo è sparito”. Appunto, il sintomo, perché la verità è che questi prodotti non curano proprio nulla, sono solo dei sintomatici. Ma a quale prezzo sul medio-lungo periodo?
D: Mentre per l’ISS non è così?
R: Per l’ISS, e per una parte della comunità scientifica, questi psicofarmaci “curano”, e questo è quanto si legge sui loro protocolli. Anche in questo caso mentono, perché gli stessi produttori quando sono messi alle strette ammettono che si tratta di farmaci che garantiscono un certo beneficio solo sul sintomo. In questo caso certi specialisti “sono più realisti del Re”, ovvero più organicisti delle stesse aziende farmaceutiche. Come ci ha ricordato in una bellissima intervista video il prof. Giorgio Antonucci, decano della psicoanalisi in Italia, il business ha sempre avuto bisogno dei suoi “paggetti”, pronti a stracciarsi le vesti ed a squittire rumorosamente dinnanzi a chiunque metta in discussione la loro autonomia nel prescrivere qualunque cosa, che faccia bene o meno. E’ così che va da che mondo é mondo, non dobbiamo certo stupirci.
D: Voi avete chiesto a gran voce la revisione dei protocolli che regolano le diagnosi e le prescrizioni di psicofarmaci ai minori in Italia. Si è mosso qualcosa?
R: Non l’abbiamo chiesto noi, l’ha chiesto una parte significativa della comunità scientifica nazionale, alla quale noi diamo voce, e l’hanno chiesto anche molti autorevoli rappresentanti del Parlamento nella legislatura appena conclusa. Manca la volontà da parte dell’ISS e dell’AIFA, forse proprio per i motivi approfonditi in quest’intervista. Sennò non si spiegherebbe perché all’ultima nostra richiesta di chiarimenti – scientificamente documentata e non certo demagogica – non abbiano ancora risposto, e son passati più di cinque mesi! In qualunque paese civile per un simile ritardo nel rispondere alle istanze di un comitato d’interesse nazionale qualcuno avrebbe già perso il posto di lavoro, o perlomeno sarebbe stata aperta un’inchiesta, ma il nostro come sappiamo è un paese un po’ strano, per non dire altro. D’altra parte ogni ritardo burocratico si traduce in una vittoria per loro ed in un crescente margine di business per i produttori. Ho la sensazione che la loro strategia sia quella di arrivare alla fine del primo biennio di monitoraggio per poi dire “abbiamo così pochi bambini in terapia farmacologica, quindi i protocolli vanno bene e non si toccano”.
D: Questo è molto interessante, può spiegarcelo meglio?
R: Mi pare evidente. A mio avviso l’idea è di ‘blindare’ i protocolli legittimandoli dall’iniziale bass numero di bambini in terapia farmacologica. Fatto ciò, l’attenzione dell’opinione pubblica si sposterà su altro e loro potranno poi fare quello che vorranno, e quando si tornerà ad occuparsi del problema sarà a quel punto troppo tardi. Questo è ciò che è successo in molti altri paesi: ma qui da noi, faremo in modo che le cose vadano diversamente, perché se Roma è un vicolo cieco, il ‘territorio’ risponde invece diversamente.
D: Siete diventati anche Voi “federalisti”, sull’onda lunga delle recenti vittorie della Lega alle Vostre elezioni politiche, in Italia?
R: No, non direi, non in quel senso, dico solo che la sensibilizzazione degli enti locali dà i suoi frutti: in Piemonte ed in Trentino sono state approvate due leggi che limitano l’uso di questi contestati prodotti farmacologici sui bambini e soprattutto vietano gli screening psichiatrici nelle scuole, che – camuffati da ricerche scientifiche – sono sempre stati in tutte le nazioni del mondo il principale strumento di pre-marketing per le multinazionali del farmaco. Un terzo dei capoluoghi di provincia italiani appoggiano e patrocinano “Giù le Mani dai Bambini”, La Puglia poi ha deciso di rivedere i protocolli che Roma si rifiuta di toccare, dando una grande prova di coraggio come istituzione davvero al servizio dei cittadini e delle loro istanze. Sarà un effetto domino, nel prossimo periodo, le istituzioni sanitarie nazionali saranno travolte dalla loro stessa inerzia. E non potranno neanche dire di non esser stati avvisati.
D: Tra i motivi di contestazione di questi protocolli c’è anche il “margine interpretativo” e la discrezionalità con la quale possono essere applicati nelle diverse regioni del vostro paese. Prevedete quindi un’assistenza sanitaria di tipo differente a seconda delle zone?
R: Certamente esiste la possibilità di “interpretare” entro certi limiti le norme che permettono di etichettare un bambino come patologico ed attivare le relative procedure terapeutiche farmacologiche, ed ha ragione qul grande psicoterapeuta italiano che è Federico Bianchi di Castelbianco quando dice “questa diagnosi non è nel bambino ma negli occhi di chi lo guarda”: un bimbo “lievemente problematico” in una certa ASL, sottoposto solo a ‘terapie della parola’, comportamentali, psicologiche, etc., può diventare invece “grave” in un altra ASL fino al punto di richiedere una terapia massiccia a base di psicofarmaci. Stesso bambino, stesso periodo, stesso disturbo, stessi protocolli. Questo vuol dire che queste regole sono sbagliate, in questi passaggi, e quindi vanno corrette e migliorate. Vero è che il medico deve mantenere un margine d’indipendenza, ma qui non stiamo parlando di caramelle o aspirine, ma di derivati dell’anfetamina somministrati a bambini di 6 anni, è un po’ diverso. Inoltre i protocolli partono dal presupposto che l’iperattività sia una malattia, e questo come abbiamo detto non è assolutamente certo: ovvio che se però partiamo da quel presupposto, tutto ciò che ne discende come strategie terapeutiche sarà gravemente ‘viziato’. Anche dell’omosessualità fino al 1990 si diceva che era una malattia, e che si poteva curare con psicofarmaci. Si può essere più o meno ben disposti verso l’omosessualità, ma certamente non è ingoiando una pastiglia che un soggetto smette di avere esperienze di quel tipo, così come non è facendo ingoiare uno psicofarmaco ad un minore che si risolveranno i suoi disagi. Magari esistesse la pastiglia miracolosa in grado di risolvere tutti i problemi.
D: E’ stato recentemente messa in risalto, nelle cronache nazionali italiane, la situazione della scuola e gli invadenti tentativi di “medicalizzazione del disagio”: sono sempre più frequenti i casi di bambini irrequieti e distratti che vengono etichettati “iperattivi” ed indirizzati dalle famiglie – su segnalazione della scuola – ai servizi di neuropsichiatria infantile per cure a base anche di psicofarmaci. Confermate queste circostanze?
R: Anche se il fenomeno è agli inizi, è un fatto, tanto che c’è un’inchiesta della magistratura in corso proprio in questo periodo a Bologna, ma il fenomeno interessa anche altri capoluoghi. Ci sono associazioni favorevoli alla somministrazione di psicofarmaci: sono genitori che li cercano e li danno ai propri figli. Questa è una scelta giuridicamente legittima se sono prodotti autorizzati al commercio, ancorché discutibile sotto altri profili. Questi genitori, presi dal sacro fuoco della “propaganda”, si aggirano per le scuole o comunque coinvolgendo insegnanti nei loro “corsi di formazione”, durante i quali spiegano che “l’ADHD è una malattia e si cura con psicofarmaci”. La scuola è sempre stata un’anticamera della prescrizione, in tutti i paesi dove i produttori hanno avviato programmi di marketing sul territorio, e ci sarebbe da approfondire l’eventuale “buona fede” di questi genitori, che negli USA ricevono lauti finanziamenti dalle multinazionali del farmaco. Spesso – ma non sempre – si tratta di famiglie che sono approdate allo psicofarmaco per disperazione, in assenza di soluzione alternative efficaci. Ma ci sono anche tanti altri genitori con bambini iperattivi che hanno trovato soluzioni differenti, perché di questi si parla poco? Recentemente abbiamo attivato un altro sito, insieme con i sindacati CISL e CGIL e con le tre più rappresentative associazioni genitoriali italiane, CGD, AGE ed Agesc, a riprova che la maggioranza dei genitori italiani è con noi: www.scuolaprotetta.it, dove insegnanti e famiglie possono iscriversi gratuitamente ad un corso di formazione a distanza su queste tematiche, perché l’informazione completa e corretta è la chiave di tutto, ed è il migliore “antifurto” anti-abuso.
D: Esistono davvero soluzioni alternative efficaci?
R: Certamente si, come ho detto prima la scienza ha moltissimo da dire prima di dover somministrare uno psicofarmaco ad un bambino. Ma gli “sponsor” della soluzione farmacologica hanno imbrogliato le carte per anni, sostenendo in totale mala fede l’equazione “psicofarmaco = scienza”, e tutto il resto quindi non vale nulla. Abbiamo smascherato questa bugia, traducendo in italiano centinaia di ricerche scientifiche sull’argomento, pubblicate sul nostro portale www.giulemanidaibambini.org. Noi comunque ci occupiamo di fare informazione, non di indicare “soluzioni alternative”, prova ne sia che riceviamo migliaia di lettere da genitori che ci chiedono di indicargli uno specialista che non usi psicofarmaci ma mai l’abbiamo fatto, non vogliamo “consigliare amici”, non desideriamo cadere anche noi nella trappola del conflitto d’interesse come le nostre controparti: noi diamo informazioni sul problema, dati scientifici resi in linguaggio divulgativo, poi i genitori scelgano in totale libertà.
D: Tuttavia è opinione comune che lo psicofarmaco – ancorché rischioso – agisca quasi immediatamente, mentre altre soluzioni terapeutiche sono magari efficaci, ma solo nel lungo periodo.
R: Intanto bisogna valutare qual è il prezzo a medio-lungo termine di quest’effimero sollievo. E poi la scienza nuovamente ci è d’aiuto per smascherare le bugie, i luoghi comuni, le teorie spacciate per verità assolute: non sono pochi gli studi che hanno provato che dopo alcuni anni di terapia i farmaci utilizzati per l’ADHD non sono più efficaci della terapia comportamentale. Il National Institute of Mental Health (NIMH) ad esempio ha osservato 600 minori con ADHD. Lo studio concluse che – prendendo a campione un solo anno – il trattamento farmacologico – o la combinazione di trattamento farmacologico e terapia comportamentale – agivano meglio che non la sola psicoterapia. La stessa analisi su tre anni di follow-up ha indicato però che i farmaci “non hanno un effetto benefico” se confrontati con la sola terapia comportamentale, ed addirittura che il loro impatto potrebbe essere negativo a causa degli effetti collaterali, e che comunque “non sono stati osservati benefici dalla combinazione di farmaco e trattamento comportamentale rispetto alla sola terapia psicologica”. Il co-autore dello studio, il Professor William Pelham dell’Università di Buffalo, ha dichiarato che “non ci sono particolari indicazioni positive per il lungo periodo circa l’assunzione dello psicofarmaco piuttosto che non assumere alcuno psicofarmaco”, e che gli analisti avevano sopravvalutato l’impatto positivo dei farmaci nella prima fase dello studio. Chissà come mai gli ‘sponsor’ dello psicofarmaco si “dimenticano” sempre di citare questi dati, ed anche le rare volte che li citano – e penso in questo caso all’Istituto Superiore di Sanità – non li traducono poi in fatti applicandoli nelle proprie linee guida.
D: A proposito di Istituto Superiore di Sanità, alcuni loro esperti negano con fermezza che vi sia un incremento nell’uso di psicofarmaci per l’infanzia. Come commenta?
R: Se si riferiscono all’Italia non so su quale base di serietà possano parlare, dal momento che queste molecole sono state autorizzate al commercio da pochi mesi, e bisognerà attendere quindi qualche anno per ottenere dati statistici affidabili. Se invece si riferiscono a tutte le altre nazioni del mondo semplicemente mentono oppure non sanno neppure di cosa parlano: nel mondo l’utilizzo degli psicofarmaci per l’Adhd è aumentato di ben il 274% in un solo decennio, come ci illustra con chiarezza l’ultima ricerca affidabile, coordinata da Peter Levine al Dipartimento di Pediatria del Kaiser Permanent Medical Center, in California, mentre la spesa globale per l’acquisto di questi prodotti è cresciuta di ben nove volte! In cima alla lista dei Paesi che utilizzano maggiormente questi medicinali ci sono certamente gli Stati Uniti, ma si registra una crescita media annuale del 16,8% in numerosi altri paesi, tra cui anche diversi paesi europei come Inghilterra, Germania, Belgio, Spagna e Irlanda. In Inghilterra, che è la porta d’accesso dagli Stati Uniti all’Europa, sono raddoppiate negli ultimi anni le prescrizioni ai bambini di potenti psicofarmaci come Ziprexa e Risperdal, originariamente destinati al trattamento di schizofrenici e psicotici, e molte di queste ricette – che vengono rinnovate per anni e anni – sono a fronte di una diagnosi di iperattività. La diffusione di questi psicofarmaci fa presagire che l’iperattività diventerà probabilmente il problema di comportamento dell’infanzia maggiormente trattato con i farmaci nel mondo. Minimizzare l’incremento significativo nell’uso di questi psicofarmaci obbedisce ad una precisa strategia di comunicazione che prevede una sottostima del fenomeno per permettere la diffusione del farmaco senza creare allarmismi nella popolazione tali da pregiudicare le vendite, strategia della quale certi specialisti sono (incolpevoli?) complici. Inoltre – seppure in cuor mio lo spero – ho difficoltà a credere che nel nostro paese non accada ciò che invariabilmente è successo in tutti gli altri paesi del mondo: non esiste “un muro” intorno alla penisola, e la mia netta sensazione è che i funzionari dei nostri organismi sanitari di controllo non si rendano conto di cosa sta succedendo nelle altre nazioni, o comunque non stiano prendendo iniziative sufficientemente incisive da incidere significativamente in questo delicato processo. Inoltre, il problema non riguarda certo solamente gli psicofarmaci per l’iperattività, ma dobbiamo sempre tener presente il ‘mercato del disagio’ in generale, e al tendenza all’iper-medicalizzazione di questa nostra società è sotto gli occhi di tutti, non so proprio come si possa negarlo… se si è in buona fede.
D: Il business in gioco è nell’ordine di miliardi di dollari all’anno. Avete ricevuto attacchi dalle multinazionali dei farmaco?
R: Diciamo che siamo stati oggetto di attenzione da parte loro. Basti pensare al ruolo giocato da una nota agenzia internazionale di pubbliche relazioni, che ha ampiamente supportato convegni di alcune associazioni genitoriali favorevoli agli psicofarmaci. Peccato che fosse anche a livello internazionale l’agenzia di PR di due tra i più grandi produttori di psicofarmaci per bambini al mondo. La cosa scandalosa è stata che anche l’Istituto Superiore di Sanità si è prestato al gioco, promozionando questi prodotti in un evento presso la propria sede istituzionale. Quando abbiamo denunciato l’imbroglio ai mezzi d’informazione nazionali, l’agenzia in questione ha avviato una serrata attività d’intelligence su di noi: chi eravamo, cosa facevamo nella nostra vita privata, etc. Siamo stati costretti a segnalare la circostanza alle autorità inquirenti italiane ed a diffidare questi “sceriffi da strapazzo”, spiegandogli che qui non sono negli Stati Uniti, dove hanno un potere immenso, bensì sul territorio della Repubblica Italiana, che fino a prova contraria è uno Stato sovrano. Comunque, è di tutta evidenza che gli interessi in gioco sono enormi, svariate decine di migliaia di miliardi di vecchie lire all’anno. Questi psicofarmaci o costano molto, come lo Strattera®, oppure come il Ritalin® costano pochissimo per ogni confezione, ma se ne vendono milioni di confezioni, una vera gallina dalle uova d’oro che giustifica azioni promozionali anche spregiudicate. D’altra parte, sostengono questi esperti di marketing, se si vendono telefonini per bambini, zainetti ‘griffati’, etc, perché non abbassare la soglia di prescrivibilità di questi prodotti e vendere anche psicofarmaci ai bambini?
D: Molti, moltissimi soldi in gioco, quindi, al punto da far passare l’etica in secondo piano…
R: Esatto. E’ uno dei business del futuro, anzi, già del presente, che solo grazie un’attenta e faticosa opera di vigilanza sta venendo in parte contenuto nel nostro paese. Il dibattito sull’ ‘epidemia’ di ADHD si infuocato anche sulle più prestigiose riviste scientifiche. ‘Nature’ ha pubblicato un intervento al vetriolo sugli interessi economici che si nascondono dietro al boom di diagnosi e trattamenti di questa presunta patologia pediatrica. Steven Rose, del Department of Life Sciences della Open University, ha attaccato alcuni colleghi dicendo: “Se non ci rendiamo conto che viviamo nel mondo reale e qual è la situazione nella quale questi psicofarmaci vengono venduti, acquistati, prescritti e somministrati, allora ogni dibattito di natura etica sarà sempre senza senso. La presunta incidenza dell’ADHD è un po’ troppo ‘ballerina’: meno dello 0,1 per cento in Gran Bretagna prima del 1990, e ora tra l’1 e il 5 per cento, elevatissima in Australia e Islanda, bassa in altri paesi. Sono diagnosi spesso discutibili, le evidenze sono carenti. E intanto le vendite di farmaci a base di metilfenidato solo in Gran Bretagna sono passate dalle circa 2000 confezioni del 1991 alle circa 300.000 di oggi. Fa pensare che ci sia sotto qualcosa di più della moda, o no?”. Considerazioni sagge e realistiche, queste di Rose.
D: Già, anche a proposito dell’incidenza di questa presunta malattia sul territorio italiano le discussioni sono accese. Voi avete dati precisi?
R: I dati sono quelli ufficiali delle varie ricerche, e fanno sorridire solo a citarli: uno studio condotto in due regioni del centro Italia ha evidenziato una prevalenza pari al 3.6%; un altro studio con i pediatri della città di Torino ha dato una prevalenza del 2,52%; uno studio del 2002, lo 0,43%; uno studio, condotto nelle scuole di Firenze e Perugia, ha individuato un 3,8% di casi; a Roma sono stati condotti due studi pediatrici, nel 1999 e nel 2003, nel primo la prevalenza è stata del 1,51%, nel secondo lo 0,91%; lo studio di Cesena del 2003 – condotto dai servizi territoriali su una popolazione di 11.980 soggetti di età compresa tra 7 e 14 anni – ha dato una prevalenza di disturbi dell’1.1%, e potremmo citare molti altri dati contraddittori. Ma è scienza o è una lotteria?
D: Per il futuro come prevede di muoversi strategicamente “Giù le Mani dai Bambini”?
R: Fermo l’obiettivo generale e di lungo periodo, che è quello della difesa del diritto alla salute dei bambini, ci confrontiamo settimanalmente sulle scelte e sull’estrema fluidità di questo scenario, che cambia ad ogni momento. Posso solo dirle che fin dall’inizio abbiamo spiazzato le nostre controparti, perché – per citare Georgij Arbatov – “abbiamo fatto la cosa peggiore che si possa fare ad un avversario… gli abbiamo tolto il nemico”: cioè non siamo e non vogliamo essere una campagna antipsichiatrica, non promuoviamo battaglie ideologiche contro le multinazionali, che ci salvano anche la vita con molti farmaci utili, e quando ci pronunciamo lo facciamo su basi scientifiche certe. Non siamo una campagna del “no a tutti i costi”, le nostre sono posizioni ragionate, quindi non ci hanno potuto liquidare facilmente come in passato hanno fatto con altri dicendo “è la solita gente che protesta”. All’inizio di quest’ avventura un grande esperto italiano di public affairs ci disse: “avete un unico vantaggio, la loro lentezza. Se vi muovete bene, i produttori si accorgeranno di Voi quando sarà troppo tardi”. E così è stato: ormai il nostro Comitato è molto strutturato, oltre centonovanta enti consorziati, tra i quali undici Università, ordini dei medici, associazioni genitoriali e socio-sanitarie. Il portale internet ha superato i 25 milioni di accessi in 4 anni, e stiamo ricevendo crescenti domande di collaborazione dall’estero, siamo in rete con altre 15 nazioni. Dialogare con realtà similari alla nostra è fondamentale, perché la grande battaglia resta da giocarsi – lo ripeto – soprattutto sul fronte culturale. La vera forza della nostra organizzazione è che è totalmente orizzontale, non c’è un direttivo e non ci sono gerarchie rigide, si muove su basi totalmente volontaristiche, e l’occasione mi è utile anche per ringraziare sia i milleduecento volontari che ci sostengono stabilmente ogni settimana con il loro costante impegno, sia le centinaia di migliaia di simpatizzanti in Italia e non solo, sia i collaboratori più stretti con i quali ho l’onore di lavorare quotidianamente, che non cito per nome ma ai quali va la più sincera gratitudine. Quello che non capiscono queste aziende è che anche se qualche nostro elemento di punta dovesse lasciare, non cambierebbe nulla, c’è chi è pronto a sostituirli.
D: Il vostro Ministero della Salute od altre istituzioni italiane hanno ‘remato contro’, in qualche occasione?
R: In un momento di forte tensione in Parlamento, alla vigilia della discussione sull’opportunità o meno di mettere in commercio questi psicofarmaci in Italia, funzionari dell’Agenzia Italiana del Farmaco hanno esercitato pressioni per convincere dei membri del nostro consorzio ad abbandonare la partita, e ci sono riusciti con due enti, con il risultato però che – in premio alla nostra coerenza e fermezza – quando è emersa pubblicamente quella situazione abbiamo ricevuto in tre settimane venticinque nuove richieste di adesione al Comitato, e quindi quasi ci hanno fatto un favore.
D: In occasione della Giornata Mondiale dell’Infanzia delle Nazioni Unite il Presidente della Repubblica On. Giorgio Napoletano ha insignito “Giù le Mani dai Bambini” della “Targa d’Argento” come riconoscimento alla vostra attività ed ai meriti sociali della vostra campagna di sensibilizzazione. Come avete appreso la notizia?
R: Tramite una lettera dello stesso Presidente. Un’emozione indescrivibile per tutti i volontari coinvolti in questo progetto, un onore grande ed inaspettato. Anche un peso in termini di responsabilità, che non vogliamo e non dobbiamo deludere. La nostra è una campagna di vigilanza e di denuncia anti-abuso, ma dai forti contenuti culturali: la nostra azione mira soprattutto a far riflettere noi adulti sulle modalità di interazione con i più piccoli, e sul tipo di mondo e di società che stiamo per lasciare in eredità ai nostri bambini. Forse sbaglio, ma mi azzardo ad immaginare che sia stato quest’aspetto a sollecitare l’attenzione del Presidente della Repubblica, prima ancora che non gli aspetti squisitamente ‘clinici’ del nostro lavoro.
D: Lei ha mai ricevuto minacce od intimidazioni?
R: Non è questa la sede per parlarne. Posso solo dirle che quando all’inizio, in pochi che eravamo, decidemmo di dire “NO” alla medicalizzazione dell’infanzia in Italia, partimmo con tanto entusiasmo ma presto mettemmo in conto anche i pericoli che questa scelta comportava. Tuttavia, anche se dovessi abbandonare la partita domattina, per qualunque ragione, “Giù le Mani dai Bambini” continuerebbe ormai con lo stesso identico slancio. Siamo tutti fermamente convinti della necessità di continuare a promuovere questa battaglia. Lo dobbiamo ai tanti Marco, Giovanni, Luisa, Angela che in qualche modo proteggiamo senza che neanche loro lo sappiano, ed al sacrosanto diritto di questi bimbi ad essere “diversi”.