Di Daniela Natali – fonte: Corriere della Sera
Didattica che usi strumenti che facilitino l’attenzione, compiti chiaramente definiti e tempi brevi di impegno, esplicitazione chiara e concisa delle regole da seguire
Ho un alunno iperattivo che frequenta la prima classe delle Superiori. Il suo comportamento (alzarsi in continuazione, circolare per la classe, avvicinarsi ai compagni, talvolta anche infastidendoli) fa da detonatore per altri ragazzi ancora poco “scolarizzati” e ciò rende le lezioni per me e colleghi un’impresa eroica. Che cosa possiamo fare?
Risponde Anna Rezzara, professore di Pedagogia alla Facoltà di scienze della formazione dell’Università Bicocca di Milano.
La questione degli alunni iperattivi è da qualche tempo al centro dell’attenzione , soprattutto da quando un certo insieme di comportamenti (irrequietezza, difficoltà di concentrazione e di attenzione, scarso autocontrollo, poco rispetto delle regole, impulsività) è stato definito come un disturbo di comportamento e catalogato come una specifica sindrome di «deficit di attenzione e iperattività» nel manuale dei disturbi mentali.
La questione è molto discussa, perché sembra difficile tracciare il confine tra un bambino o un ragazzo che per un insieme di motivi (legati alla sua storia, alla sua educazione, alla sua struttura psicologica e alla sua qualità di vita) appare estremamente vivace, incapace di mantenere l’attenzione, di adeguarsi a modi e tempi del lavoro scolastico, e un bambino cui si riconosce uno specifico disturbo di comportamento che porta a una precisa diagnosi e spesso a trattamenti psicologici e persino farmacologici. Il rischio è quello di una medicalizzazione forzata di problemi che potrebbero essere affrontati dal punto di vista educativo, e della ricerca a tutti i costi di una diagnosi che inquadri la persona dentro il suo disturbo. Pur non escludendo, ovviamente, in certi casi, la necessità e l’utilità di una diagnosi e di un trattamento specifico, mi sembra importante mettere in guardia sul rischio che un simile approccio non dia poi agli educatori reali risorse per affrontare la situazione e sposti l’attenzione dalla ricerca del «che cosa si può fare» verso una definizione medica che in qualche modo «bolli» il bambino o il ragazzo come malato, rischiando di peggiorare la situazione.
La sua lettera testimonia invece la ricerca di aiuto per trovare soluzioni, o almeno possibili strategie di intervento, di fronte a un comportamento sicuramente faticoso da gestire. Credo che, cercando tutti gli aiuti possibili, la domanda corretta sia sempre questa: qual è lo spazio d’azione praticabile, come posso ripensare la mia proposta educativa perché anche in questa situazione ci sia la possibilità di un intervento educativo efficace?
Provo a dare alcune indicazioni. Saranno importanti alcuni accorgimenti concreti nell’organizzazione: compiti di lavoro chiaramente definiti; tempi brevi di impegno seguiti da un riscontro dell’insegnante; monitoraggio stretto del modo di lavorare; incoraggiamento e supporto costante; esplicitazione chiara e concisa delle regole da seguire; riconoscimento immediato e puntuale dei comportamenti corretti. Se, e quando, è necessario un riscontro dei comportamenti negativi, va fatto però in «tempo reale» e sui motivi specifici della sanzione, non genericamente rivolto alla persona.
E ancora: incarichi precisi; uso il più largo possibile di strumenti e tecniche che facilitino l’attenzione (come immagini, contatto diretto con materiale di lavoro, compiti concreti, offerta di schemi). Importante, anche se difficile, una gestione sicura, calma e controllata (anche nei toni) della situazione, per evitare di rispecchiare, e quindi incrementare, l’agitazione dell’alunno e per dargli prova concreta della possibilità di una gestione serena del lavoro scolastico. Essere chiari e ripetitivi nel ribadire le regole di comportamento, le indicazioni per il lavoro, i criteri di giudizio; non ripetere in modo costante critiche e rimproveri generali al comportamento, al modo di essere “sempre sbagliato”.
Si tratta da un lato di trovare tecniche didattiche che facilitino il lavoro e dall’altro di provare a «smontare» il ruolo negativo di questi ragazzi facendo sentire loro che possono partecipare adeguatamente al lavoro della classe, riportandoli a norme comuni a tutti pur riconoscendo la loro difficoltà. Una risorsa preziosa sarà il gruppo classe: attivare occasioni di lavoro di gruppo, fare in modo che qualcuno con più risorse faccia da tutor. I ragazzi imparano più facilmente dai compagni, più vicini ai loro modi di pensare, e far parte di un gruppo può essere un richiamo forte a partecipare attivamente. Suggerisco perciò di inserire nel lavoro queste modalità: farà bene al ragazzo e sarà anche un modo per valorizzare le tante diversità e che compongono il gruppo classe.