Fonte: Everyeye.it – Di Alessio Marino
E’ stato annunciato che ADHD – Rush Hour, il film-documentario di Stella Savino, uscirà in sala il prossimo 26 Giugno, distribuito da Microcinema Distribuzione. La pellicola, racconta la storia di diversi bambini che hanno contratto la malattia ADHD, il deficit dell’attenzione e iperattività, una anormalità neuro-chimica geneticamente determinata. In diversi paesi sarà offerta una pasticca di metilfenidato o di atomoxetina. Nel film il dibattito prende vita e l’ONU parla di emergenza sanitaria, denuncia e lancia l’allarme ADHD “ il Consiglio invita le nazioni a valutare la possibile sovrastima dell’ADHD e frenino l’uso eccessivo del metilfenidato (Ritalin). Negli Stati Uniti è stata diagnosticata l’ADHD nei bambini di appena 1 anno”.
Armando, 19 anni, vive a Roma dove frequenta ancora il terzo anno delle superiori. Gli è stato diagnosticato l’ADHD all’età di 10 anni. Sono 9 anni che è in cura farmacologica. “Sono stato dal medico due volte, forse tre … in effetti la terza non la ricordo … non so nemmeno se c’è stata una terza volta”. Il racconto che Armando fa della sua percezione della malattia è freddo, a tratti confuso. Colpiscono la sua lucidità sugli effetti collaterali della terapia, il più tragico dei quali è lo sdoppiamento della personalità: “solo questo è il problema, che ti si creino due personalità …”. La sua visione del mondo è ristretta all’universo scolastico, all’ossessione della performance a cui l’assunzione del farmaco è strettamente legata: “interrompo nei weekend e d’estate quando la scuola non c’è …”. Il suo racconto si alterna a quello della madre, una donna forte e intelligente che rivendica il senso di ogni sua scelta. Armando non ha mai fatto terapie comportamentali o psichiatriche. Sua madre crede che la psicoterapia faccia più danni del farmaco e che “la psicoanalisi scavi cose che se la mente dimentica vuol dire che deve dimenticare”.
Zache vive a Miami, ha dieci anni e frequenta il quinto anno delle elementari. Ha ricevuto la sua diagnosi di ADHD al primo anno di asilo. Da allora è sempre stato sotto farmaci. Nel corso degli anni ha sperimentato quasi tutti i farmaci indicati per il trattamento dell’ADHD. Il suo problema è che li metabolizza troppo velocemente e dopo poche settimane gli effetti collaterali diventano insostenibili. La sua storia è raccontata dalla madre Traceye, fragile e tenera, ma anche estremamente lucida nella sua descrizione della malattia e di quanto sia violenta la pressione da parte della società e della scuola in particolare. “Se non siete in grado di controllarlo allora dovete portarlo in un’altra scuola”, le è stato detto quando Zache aveva solo 3 anni. Ma Traceye non è arrabbiata con il sistema scolastico, non si sente abusata nei suoi diritti di genitore “l’impressione è che loro vogliano tenerli sotto controllo, qualunque cosa significhi tenerli sotto controllo … ma è normale, hanno così tanti bambini!”. E ancora per Traceye l’ADHD è un dono così speciale che “se esistesse una pillola in grado di trasformare Zache in un bambino normale, uguale agli altri? non gliela darei… che cosa sarebbe successo ad Einstein se sua mamma gli avesse dato una pasticca e lui si fosse concentrato su una sola cosa alla volta?”.
Lindsay è nata nell’Iowa ma vive a New York, ha 25 anni, è laureata e ha ricevuto la sua prima diagnosi di ADD (attention deficit disorder) all’età di 21 anni, già adulta. Lindsay è il volto di un nuovo fenomeno in rapida espansione: la diagnosi di ADHD o ADD, da sempre definita nel DSM (manuale diagnostico disordini psichiatrici) come un disturbo dell’età evolutiva, colpisce oggi anche gli adulti. Si tratta di un fenomeno in rapidissima espansione che ha allargato il mercato delle case farmaceutiche in modo esponenziale. Anche Lindsay segue solo la terapia farmacologica. Le piacerebbe avere accesso ad altre terapie come quelle comportamentali, ma la sua copertura assicurativa non glielo consente.