Di Valentina Daelli – Fonte: Oggiscienza
Mancano pochi giorni alla pubblicazione del DSM-5, la quinta versione del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, uno dei più importanti testi di riferimento per la psichiatria mondiale. Il nuovo manuale, curato dall’American Psychiatric Association, sta per vedere la luce dopo un lungo e dibattuto processo di pianificazione e redazione iniziato nel 1999.
Quattordici anni di ricerche, consultazioni, analisi degli studi presenti in letteratura, revisioni, trial sul campo, e alla vigilia della sua uscita arriva un colpo che potrebbe lasciare pesanti conseguenze sul mondo della psichiatria.
Il National Institute of Mental Health (NIMH), l’agenzia federale statunitense che si occupa di finanziare la ricerca sui disturbi mentali, ha dichiarato con un post pubblicato la scorsa settimana sul blog del suo direttore che l’istituto prenderà le distanze dal nuovo manuale e dalle sue categorie diagnostiche.
«La forza di ciascuna edizione del DSM,» ha scritto Thomas Insel, «è stata la sua “affidabilità” – ogni edizione ha garantito che i medici utilizzassero gli stessi termini allo stesso modo. La debolezza è stata la sua mancanza di validità.»
Le diagnosi su cui si basa il DSM, sostiene il direttore dell’NIMH, si basano su un insieme di sintomi più che su misure oggettive, un tipo di medicina che è stata in gran parte superata negli ultimi cinquant’anni, nella convinzione che i sintomi da soli non siano in grado di indicare il miglior trattamento da seguire.
Partendo dall’assunto che i disturbi mentali siano innanzi tutto alterazioni di tipo biologico, Insel auspica un nuovo approccio diagnostico che comprenda informazioni genetiche, biologiche e cognitive. E promuove il progetto Research Domain Criteria (RDoC) per la definizione di un nuovo sistema di diagnosi fondato su queste basi.
Il progetto in questione è però al momento soltanto un percorso di ricerca per la raccolta di dati che possano individuare indicatori biologici delle malattie mentali, lontano dal poter fornire una vera alternativa agli esistenti sistemi di classificazione.
Quali potrebbero essere gli effetti della posizione di allontanamento dell’NIMH nei confronti del manuale? Senza voler negare l’importanza del DSM-5, l’agenzia sarà però più propensa a finanziare progetti di ricerca che useranno sistemi alternativi alle attuali categorie diagnostiche per classificare i pazienti. Invece di coinvolgere in uno studio pazienti che corrispondono alla descrizione di depressione maggiore, i ricercatori potrebbero includere partecipanti con diagnosi diverse, ma che presentano tutti un comune disturbo, ad esempio la mancanza di provare piacere, per rintracciare i marker genetici o neurali alla sua origine.
La spinta verso un’interpretazione più neurobiologica di questi disturbi (forse in parte motivata dai 100 milioni di dollari promessi da Obama per la BRAIN Initiative, suggerisce qualcuno) potrebbe avere non poche conseguenze sul modo in cui si pensa alla malattia mentale, considerando che i critici del DSM hanno spesso lamentato la scarsa considerazione dei fattori culturali che influenzano le diagnosi in ambito psichiatrico.