Fonte: Vicenzapiù
Il più importante studio a lungo termine(1) mai condotto su bambini in età prescolare diagnosticati ADHD (Sindrome da Iperattività e Deficit di Attenzione, la presunta patologia dei bambini troppo agitati e distratti), pubblicato recentemente sull’autorevole rivista scientifica internazionale “Journal of American Academy of Child and Adolescent Psychiatry”, rileva che il trattamento farmacologico precoce su bambini con problematiche di comportamento in classe e in famiglia non ha effetti significativi sulla riduzione dei sintomi.
9 bambini su 10 continuano a manifestare il problema anche molto tempo dopo l’inizio del trattamento farmacologico, e ciò al di la della gravità della patologia.
La Prof. Emilia Costa, Professore Emerito di Psichiatria è già titolare della 1^ Cattedra di Psichiatria dell’Università di Roma “La Sapienza”, commenta così lo studio americano: “La tesi dei colleghi americani conferma quanto da tempo dicevamo, ovvero che il cervello del bambino in evoluzione ha necessità fondamentale più che di psicofarmaci di un adeguato e sano apporto alimentare, di un contesto affettivo positivo, di movimento e di stimoli ambientali, di attenzione al clima, alla temperatura, alla ventilazione, ai campi elettromagnetici, e molto altri accorgimenti necessari e dovuti in una fase delicata come quella della crescita. L’assenza o la carenza di uno solo di questi apporti fondamentali può causare anormalità comportamentali e deficit che non sono regolabili ‘magicamente’ ingerendo una pastiglia di psicofarmaco. Anzi, l’assunzione di psicofarmaci rischia di modificare il normale sviluppo del cervello del bambino e dell’adolescente fino a produrre diversi disturbi di personalità, che vengono poi classificati come altre malattie ‘ovviamente’ da curare con altri psicofarmaci. Così la catena della malattia psichica – conclude Costa – si perpetua in eterno, per la gioia delle multinazionali del farmaco e dei loro ricchi bilanci”
L’indagine, condotta su Bambini considerati con problemi di comportamento e temperamento tra i 3 e i 5 anni, ha osservato i piccoli pazienti nei sei anni successivi alla prima diagnosi. I sintomi tipici dell’ADHD (disattenzione, iperattività e impulsività) sono continuati per circa il 90% del numeroso gruppo di bimbi coinvolti nella sperimentazione, anche sei anni dopo la diagnosi, senza evidenziare rilevanti differenze tra il gruppo trattato farmacologicamente e quello non medicalizzato.
Sul punto è intervenuto anche Luca Poma, giornalista e Portavoce di “Giù le Mani dai Bambini®”, il più rappresentativo comitato italiano per la farmacovigilanza pediatrica. “Sono anni che sosteniamo l’inutilità di questi psicofarmaci, che hanno un effetto limitato nel tempo e per contro espongono i bambini a gravi rischi. Ci appelliamo all’Istituto Superiore di Sanità, che sta collaborando alla stesura delle nuove linee guida per il trattamento dell’ADHD, affinchè, nel rispetto della propria missione di ente pubblico imparziale che lavora per il bene di tutta la cittadinanza, includa queste nuove evidenze scientifiche nei protocolli. Quella parte di comunità scientifica che promuove – spesso in pieno conflitto d’interessi – l’utilità dell’uso di molecole psicoattive e anfetamine su bambini piccoli e adolescenti, deve finalmente ammettere che il presunto beneficio è di breve termine, che si riducono solo i sintomi – peraltro a prezzo di rischi per la salute dei più piccoli – e che queste cosiddette terapie non curano assolutamente nulla. Ciò che serve è una presa in carico ‘non semplicistica’ per i piccoli con problemi di comportamento: come diceva un grande pediatra americano, il Dott. Bill Carey, bisogna diffidare delle soluzioni ‘quick-fix’, soluzioni facili a problemi complessi”.
Secondo i ricercatori, oltre il 7% dei bambini americani sono attualmente in trattamento per l’ADHD, per una stima di incassi da parte delle multinazionali farmaceutiche coinvolte che oscilla 36 e 52 miliardi dollari all’anno.