Riceviamo e volentieri pubblichiamo questa accorata e documentata lettera del Prof. Bruno De Domenico
La libertà è poter dire quello che si pensa, e che la propria idea sia ascoltata e rispettata, anche se non condivisa, a prescindere da quale sia l’autorità o l’opinione da cui si dissente, politica, religiosa o scientifica. Altrimenti tutte le celebrazioni della libertà stessa rimangono parole vuote e ipocrite, e si ricade nell’inquisizione, nel fascismo o nello stalinismo.
Se una psichiatra mi dice che una ragazza non cammina, o non cammina da sola, con tutto il rispetto, io le dico, guardi che cammina: la vediamo tutti camminare, e anche da sola! Magari per il momento incespica un po’ perché è caduta, ma non ha bisogno della sedia a rotelle e neanche delle stampelle.
Oltre che insegnante io sono psicologo e psicoterapeuta, e per questa formazione ho lavorato più volte, sia in tirocini che con cooperative, in ambito e con pazienti psichiatrici, talvolta anche violenti, all’Ospedale dei Colli a Padova, in un reparto psichiatrico a Roma, in vari soggiorni estivi, in un Servizio Psichiatrico di Bolzano, e in una comunità alloggio per pazienti psichiatrici, qui a Milano.
Ora sono qui come insegnante, ma date queste esperienze non posso esimermi dal dire la mia. Egregia dottoressa lei sa bene che sia in tutte diagnosi e le cure mediche, comprese quelle psichiatriche, vi è un grande margine discrezionale. Ora, anche in medicina si fanno errori, pensiamo a tutti i falsi positivi e falsi negativi anche là dove esistono esami molto più oggettivi e affidabili che in psichiatria, alcuni ci pensano bene prima di emettere una diagnosi, e sulla relativa gravità, altri somministrano con non-chalance psicofarmaci anche a bambini e ad adolescenti.
Per “curarli” vennero lobotomizzati solo negli USA 20 mila persone, per non parlare del resto del mondo, 20 mila persone distrutte per sempre, mentre ancora oggi l’elettroshock è sostenuto da molti psichiatri. Io non mi fido dell’elettroshock comunque, e non è che dietro la lobotomia o l’elettroshock ci fossero sempre persone malvagie o in mala fede, solo psichiatri che, senza porsi alcun problema, facevano quello che gli era stato insegnato, è la cosiddetta banalità del male.
Questa mania di assegnare etichette psichiatriche a tutti e, naturalmente, di dispensare a piene mani i relativi psicofarmaci, è una nuova aberrazione della psichiatria, e una nuova forma di fascismo (economico/pseudoscientifico), e a quanto pare, fortunatamente, sono fonti ben più autorevoli di me, a denunciarlo, quelli stessi che avevano fatto il DSM IV, e comunque che il manuale dell’OMS è l’ICD 10 e non il DSM.
Negli USA sono 6 milioni i bambini e ragazzi presunti iperattivi ad assumere il Ritalin, oltre il 10% della popolazione scolastica.
E le diagnosi di dislessia, anche da noi, aumentano vertiginosamente e le differenze tra le regioni sono eclatanti. Così come vi sono genitori che per tutto l’anno anziché mandare i ragazzi a scuola li portano a fare esami medici, in particolare neuropsicologici, finché non riescono a “trovare qualcosa che non va”, il ché ovviamente è facilissimo se uno non fa altro che ripetergli che è malato.
Questa sì che è una patologia, si chiama sindrome di Munchausen per procura.
Quindi, tornando a noi, se io leggo una diagnosi funzionale di un ragazzo che mi viene dipinto come grave, e invece a me pare non solo normale, ma anche molto intelligente e partecipe, non posso non dissentire. Anche noi abbiamo i nostri titoli, la nostra esperienza, in molti anni e con centinaia di ragazzi, e quindi possiamo fare un raffronto tra diverse situazioni, ivi incluse le difficoltà. Le nostre valutazioni e la nostra conoscenza e valutazione di questi ragazzi, non vale niente?
E anche le insufficienze, ove ce ne siano, devono essere sempre e per forza attribuite a motivi psichiatrici o di ritardo? Ma andando alla nostra alunna: un lutto gravissimo, come quello di un padre, tra l’altro che lei ha visto soffrire e morire in una lunga malattia e in un’età così delicata, implica inevitabilmente un enorme dolore, per me l’anormalità in tal caso non è nel soffrire ma considerare questo un dato psichiatrico.
Ora, per me l’anormalità sarebbe se non soffrisse, se non avesse dei momenti di incupimento, di ritiro e di tristezza, c’era una cosa, di cui si parlava una volta, chiamata elaborazione del lutto, o dobbiamo tutti diventare senza sentimenti, (come gli alieni del film “Invasion”) per non incorrere in qualcuna delle magnifiche sorti e progressive diagnosi del DSM V? Io vedo D. molto migliorata in questi mesi, sempre più partecipe e interessata. Noto nei suoi interventi, nelle sue connessioni logiche, nella sua capacità di osservare il linguaggio non-verbale, un’intelligenza brillante. In quanto alla memoria, in un gioco didattico l’ho vista memorizzare in un minuto dieci numeri di seguito, poi trascritti dopo un minuto di pausa, senza fare neanche un errore. Niente di ché, ma spero che sarà d’accordo con me che ogni test, anche il più elaborato e scientifico, risente delle modalità in cui vengono somministrati, dell’emotività e della motivazione del momento. Forse in alcun frangenti la memoria magicamente ricompare, e in altri diminuisce, come per tutti noi?
Ogni tanto ha delle uscite un po’ eccentriche, e ha un background familiare un po’ problematico, ma basta questo per appioppargli un’etichetta psichiatrica? Se vogliamo appiccicare etichette psichiatriche a tutti, e magari imbottire di psicofarmaci tutti, bambini e adulti, come del resto si fa già negli USA, dove la pubblicizzazione di questi farmaci, così come delle armi, non ha nessun limite, facciamolo pure, o meglio fatelo pure, ma non faremo certamente il loro bene.
C’è un’associazione, in Italia, che si chiama “Giù le mani dai bambini”, con un comitato scientifico di psicologi, psichiatri e neuropsichiatri, che si oppone all’epidemia, questa sì micidiale, di psichiatrizzare tutto e tutti, soprattutto i bambini, guarda caso i più indifesi, spesso con genitori che non hanno gli adeguati strumenti culturali per capire cosa questo implichi e per opporvisi.
Ho letto che lei considera questa ragazza disabile moderata e suggerisce per lei non solo il sostegno ma persino l’educatore.
Non si offenda, ma a questo punto le chiedo: lei vede e conosce gli altri ragazzi e ragazze che abbiamo noi, e in tutte le scuole d’Italia? Anche quelli che non finiscono negli studi di psicologi e psichiatri? Pensa che tutti gli altri abbiano un’alta autostima di sé, una elevata e prolungata capacità attentiva? Pensa che non siano dipendenti dagli smartphone, ossessionati da quello che gli altri pensano di loro, dai like, dalla paura di non piacere e di essere emarginati?
Vogliamo sempre inchiodare questi ragazzi alle loro difficoltà e sofferenze, o vogliamo valorizzare la loro intelligenza, capacità, fantasia, le loro doti, che pure esistono? Io mi ricordo di com’ero io, alla loro età, e ricordo anche i miei compagni,
tutti e tutte con un sacco di problemi, e non ritengo che l’avere avuto appicciata un’etichetta psichiatrica, o ingurgitare psicofarmaci mi sarebbe stato d’aiuto, tanto meno l’avere un’insegnante di sostegno.
Mi si dirà: “Ma un aiuto, che male può fare?” Ma questa è la superficialità più nociva che possa esserci, in medicina come in pedagogia.
Non si dà la chemioterapia per l’influenza, perché “è più potente”, né tanto meno è opportuno dare antibiotici se non ci sono delle infezioni batteriche, anzi, sappiamo che se somministrati con superficialità, come avviene, danno luogo a mutazioni e a una resistenza batterica che proprio per questo oggi è un problema di salute allarmante.
Allo stesso modo in pedagogia, nell’educazione e nella scuola, ogni aiuto dovrebbe essere calibrato e pensato per il tipo di problema e di ragazzo.
Non è che “qualunque aiuto” fa bene: tutte le piante necessitano di acqua e luce, ma alcune piante con troppa acqua e luce morirebbero. Tutti gli animali cercano il calore, ma mettiamo un orso nel deserto e morirà in un giorno.
In questa classe ci sono già 5 insegnanti di sostegno e un’educatrice, e anche se a ognuno è affidato prevalentemente un allievo si occupano, così come noi curricolari, di tutti gli allievi e allieve della classe. Un insegnante di sostegno, per quanto valido possa essere, non restituisce a un ragazzo né un congiunto perduto, né la serenità familiare o la salute psicologica, ma talvolta può essere contro-producente per le dinamiche di stigmatizzazione studiate da Goffman, a prescindere, ripeto, dalla sua abilità. Ora, noi possiamo anche dare un’etichetta psichiatrica, (e relativi farmaci), a tutti i ragazzi, e faccio osservare che proprio gli antidepressivi sono connessi al rischio di ideazioni suicidarie e omicida. Noi possiamo assegnare un insegnante di sostegno e un educatore a tutti i ragazzi che hanno subito un lutto, che hanno avuto un attacco di panico, che vengono dall’estero, che hanno i genitori separati o disoccupati, o depressi, o alcolizzati o detenuti, o a cui manca un occhio o un dito o che si tagliano o che si inducono il vomito o che consumano hashish o che fanno i graffiti o vandalismi vari, che qualche volta hanno dato in escandescenze o deliri, che non mangiano o che mangiano troppo, o semplicemente che hanno qualche insufficienza, forse allora avremo risolto il problema della disoccupazione in Italia, e ci saremo messi in una botte di ferro legale-burocratica, smettendo di insegnare e dedicando tutto il nostro tempo a fare riunioni e a compilare carte, e mai a cercare di ascoltarli e di capirli, tanto l’importante è metterli in una casella del DSM V o dell’ICD 10, a quel punto ci saremo tutelati e liberati della responsabilità e non dovremo metterci in discussione: “Tanto è malato, tanto è iperattivo, tanto è depresso, tanto è autistico, tanto ha il funzionamento intellettivo limite, tanto ha il disturbo dell’apprendimento scolastico!”
Possiamo anche dare un programma differenziato a tutti, non chiedergli più niente di ciò che potrebbero fare, e sicuramente non avremo più nessuna lamentela a insegnanti, coordinatori e presidi. Ma non li avremo aiutati a crescere, anzi il contrario. Le dico sinceramente: sono stupito dell’esistenza di questo libro perché scritto da uno che ha fatto il DSM IV, quindi all’interno della giostra, mentre i miei riferimenti ideali, pensando ai grandi psichiatri, sono Viktor Frankl, Thomas Szaz, Ronald Laing o Basaglia. Ma evidentemente anche oggi ci sono psichiatri che vedono le cose in una prospettiva più ampia e più umana, e io sto dalla loro parte, anche se dovessi essere l’unico.
Oriani-Mazzini, Milano 26 aprile 2017
Prof. Bruno De Domenico
http://www.giulemanidaibambini.org/homecartabimbo.html
https://www.dailybest.it/society/anni-40-lobotomia-rompighiaccio/
https://it.wikipedia.org/wiki/Lobotomia
http://www.ortofonologia.it/allegati/dislessie/stampa/comunicati-gen_2013.pdf
http://www.stateofmind.it/2014/11/sindrome-munchhausen-per-procura-psicologia/