Di Anna Toro – fonte: unimondo.org
Il bambino non riesce a star fermo sulla sedia? Va male a scuola? È maleducato e mostra insofferenza verso l’autorità? Due sono i casi: o il piccolo è semplicemente troppo vivace e poco disciplinato, oppure è malato. La malattia si chiama Adhd (acronimo che sta per Attention Deficit Hyperactivity Disorder): meglio nota come iperattività, provocherebbe deficit di attenzione e problemi comportamentali.
Se, come per molte patologie di questo tipo, non si è ancora riusciti a determinarne l’origine (così come la diagnosi pare ancora nebulosa), l’industria farmaceutica è arrivata al solito prima di tutti: Ritalin, Adderall e altri psicofarmaci e stimolanti sono ormai entrati a far parte della “dieta” farmacologica di milioni di bambini in tutto il mondo.
In Italia la polemica è riesplosa di recente, dopo l’autorizzazione, a partire dal 2013, della vendita della guanfacina, nuovo psicofarmaco per bimbi affetti da Adhd, la cui sperimentazione in questi anni è passata quasi sotto silenzio. La denuncia parte dall’associazione “Giù le mani dai bambini”, che si occupa di farmacovigilanza pediatrica, e dalla giornalista Rita Dalla Rosa, che nel suo libro “La fabbrica delle malattie“ (Ed. Terre di mezzo), svela nel dettaglio i meccanismi di marketing delle case farmaceutiche per questo tipo di medicinali. Scopriamo così come le loro campagne pubblicitarie siano sempre mirate all’attivazione di “un discorso” su una vera o presunta malattia, in realtà finalizzato alla promozione di un farmaco già pronto per essere immesso sul mercato. Che in questo caso specifico, gli psicofarmaci per bambini, Della Rosa stima in ben 3 miliardi di euro.
Secondo il registro creato nel 2007 dall’Istituto superiore di Sanità, e voluto proprio dall’associazione “Giù le mani dai bambini”, i piccoli italiani a cui sono somministrati i medicinali contro l’iperattività sarebbero circa 2mila. A questi, però, bisogna aggiungere i 57mila minori tra 0 e 13 anni che, secondo il Rapporto Arno-bambini 2011, sono in cura con psicofarmaci per altre patologie. Infine c’è l’indagine condotta da Telefono Azzurro ed Eurispes, da cui è emerso che tra gli studenti delle scuole superiori il 18,6% dichiara di assumere tranquillanti e il 14.7% di far uso regolare di antidepressivi.
Se in Italia il fenomeno è in crescita ma comunque monitorato (siamo per ora gli unici ad avere un registro ufficiale dei piccoli pazienti trattati con i farmaci per l’Adhd), nel resto del mondo le cifre si fanno più impressionanti. In Inghilterra, ad esempio, le prescrizioni di “pillole per l’attenzione” in 10 anni sono quadruplicate. Ma è soprattutto negli Stati Uniti che il trend delle diagnosi di iperattività con conseguente prescrizione di psicofarmaci pare non volersi arrestare. Secondo le stime dei Centri di Diagnosi e prevenzione statunitensi, l’Adhd già ne 2007 era stata diagnosticata a circa 5,4 milioni bambini americani tra i 4 e i 17 anni, in pratica il 9,5%. In realtà manca ancora un database ufficiale e probabilmente le percentuali oggi sono molto più alte. Inoltre, spesso gli studi dicono tutto e il contrario di tutto, segno di quanto la reale conoscenza della malattia, ma soprattutto il mercato e gli affari, giochino un ruolo centrale nella questione.
Certo, sul fatto che la patologia esista sembrano non esserci più dubbi, anche se ancora si dibatte sulla sua origine, determinata probabilmente da una combinazione di fattori diversi: genetici, ambientali, traumatici, o cerebrali. All’incertezza su origine e diagnosi, si aggiunge il problema che spesso i farmaci vengono prescritti anche a chi malato non è, semplicemente per migliorare voti e rendimento scolastico, o anche come soluzione alle devianze sociali giovanili. Perchè negli Usa succede anche questo.
Per non parlare delle diagnosi di Adhd effettuate da molti medici con assoluta superficialità, senza aver fatto tutte le dovute valutazioni anche per quanto riguarda le condizioni ambientali e il passato del bambino, con tanto di audizioni di famiglia e insegnanti. Spesso, infine, sono gli stessi genitori (magari entrambi lavoratori full time), che chiedono il trattamento farmacologico per il proprio bambino, estenuati dal suo comportamento apparentemente o realmente ingestibile.
Ma questi psicofarmaci per l’attenzione servono davvero? Il Ritalin, ad esempio, è una pillola a base di anfetamina, che agisce su alcuni neurotrasmettitori chimici del cervello come la noradrenalina e la dopamina. Aiuta i bambini non solo a concentrarsi e a stare buoni e tranquilli, ma migliorerebbe anche la socialità e le prestazioni motorie. Diversi studi hanno dimostrato che circa il 70% dei bambini sottoposti a trattamento farmacologico hanno riscontrato un effettivo miglioramento dei sintomi dell’Adhd. Ma oltre al fatto che si sta abituando un cervello in via di sviluppo all’utilizzo di una “droga”, bisogna fare attenzione anche agli effetti collaterali, la maggior parte leggeri, ma che possono diventare anche gravi: inappetenza, irritabilità, nausea, insonnia, addirittura tendenze suicide.
“Questi farmaci aumentano la concentrazione nei brevi periodi, ed è per questo che agiscono così bene anche con gli studenti che devono affrontare gli esami. Ma se vengono dati ai bambini nel lungo periodo, gli effetti svaniscono: i bambini non migliorano né il loro comportamento né i loro voti” spiega in un commento al New York Times, Alan Sroufe, docente di psicologia dell’Institute of Child Development dell’Università del Minnesota. Che aggiunge come, in realtà, dei veri e propri studi sugli effetti a lungo termine ancora non siano stati effettuati.
E se i metodi alternativi per trattare malattie come l’Adhd esistono, c’è da dire che sono scarsamente seguiti. Secondo i sostenitori di questo approccio, bisognerebbe innanzitutto lavorare con le famiglie e le classi, e anche la dieta può giocare un ruolo decisivo nel contrastare i sintomi, eliminando gli acidi grassi Omega-3 e le deficienze di ferro e zinco. Il problema è che questo tipo di trattamento necessita di molto tempo e sinergie, soprattutto ci vogliono fondi, mentre il farmaco è veloce ed economico, oltre che spinto a più non posso dalle industrie farmaceutiche. In questo modo, sostengono i fautori del trattamento mirato, “ci si abitua a pensare che tutti i problemi possano essere risolti con una pillola, mentre il bambino cresce con il pensiero che in lui ci sia qualcosa di sbagliato”.
“Alla fine non abbiamo molta scelta – commenta tra gli altri Michael Anderson, medico che opera tra le famiglie povere della Contea Cherokee in North Atlanta, e che spesso ha dovuto somministrare farmaci come Ritalin e Adderall ai suoi piccoli pazienti – Come società abbiamo deciso che è troppo dispendioso modificare l’ambiente del bambino. Così, abbiamo modificato il bambino stesso”.