Che uno sia d’accordo o non con i criteri DSM dell’ADHD, è evidente il fatto che a livello pratico questi criteri non sono applicati rigorosamente nella maggior parte dei casi. Due studi recenti, uno su più di 400 pediatri americani (41) e uno su medici di base e pediatri nel Nord Carolina (43), hanno dimostrato che i criteri diagnostici del DSM erano usati in meno della metà dei casi che ricevevano la diagnosi e il trattamento con stimolanti.
Un altro studio ha trovato un drammatico incremento nella prescrizione di questi psicofarmaci a bambini di appena due anni di età (56).
Molti operatori pubblici continuano a pensare che, se lo stimolante porta a un miglioramento del comportamento del bambino, questa è una prova indiretta della diagnosi di ADHD e una buona ragione per continuare il farmaco. Ciò che questi operatori trascurano è che tutti gli stimolanti cerebrali, compresa la caffeina, ottengono il risultato di migliorare le prestazioni specie cognitive in tutti i soggetti, compresi i bambini cosiddetti normali (57-58-59).
Pertanto la grande diffusione del Ritalin come prova ex juvantibus è del tutto irrazionale (Diller, 1998). Inoltre, benché certamente il metilfenidato abbia dimostrato la sua efficacia in molti casi, tuttavia i suoi effetti, se confrontati con un intervento psicologico ben condotto, sono sovrastimati (60).