Recentemente, due articoli e un editoriale sono apparsi sul British Medical Journal per discutere dei programmi di screening per la depressione, del suo trattamento con la terapia cognitivo comportamentale – secondo le indicazioni del National Institute for Health and Clinical Excellence (NICE) – e dei vantaggi che una politica
sanitaria, orientata a favorire l’uso di questi due elementi, avrebbe sull’esito e sui costi della patologia.
QUANDO È EFFICACE LO SCREENING PER LA DEPRESSIONE Gilbody e i suoi collaboratori spiegano che, mentre negli Stati Uniti ed in Australia sono presenti da tempo programmi di screening per i più comuni problemi di salute mentale, in Gran Bretagna – fino ad oggi – queste procedure sono state supportate con maggiore cautela dal NICE. Tuttavia le cose potrebbero rapidamente cambiare dopo che sono stati introdotti riconoscimenti economici ai medici di medicina generale che si impegnano a migliorare la qualità, nel loro servizio, dell’assistenza alla depressione.
In passato, in Gran Bretagna, i programmi di screening sono stati implementati senza particolare attenzione
alla loro effettiva efficacia, alle loro implicazioni cliniche ed etiche, ed al loro impatto sulle risorse per la tutela della salute. Oggi, invece, il National Screening Committee si occupa specificamente di programmi di screening in Sanità. Compito del National Screening Committee è di assicurarsi che lo screening venga effettuato in modo proficuo per tutte quelle patologie che rappresentano un importante problema di salute e per le quali epidemiologia e decorso siano ben conosciuti.
La depressione è uno dei principali problemi di salute pubblica, con un’incidenza annuale dell’8-12%, che comporta una riduzione nella qualità della vita paragonabile a quella delle maggiori malattie fisiche croniche con importanti conseguenze economiche. L’epidemiologia, il decorso clinico e le modalità di ricorso ai servizi dei pazienti depressi sono noti. Inoltre, dal momento che le ricerche cross-sectional spesso individuano come depresse persone che si trovano in un momento di particolare stress in risposta a problemi psicosociali o ad eventi di vita, le linee guida raccomandano un periodo di osservazione prima di iniziare un intervento.
Per questo motivo è chiaro che lo screening potrebbe rilevare un largo numero di falsi positivi, e non essere quindi efficiente.
Il National Screening Committee ha stabilito che, per essere raccomandati, i test dovrebbero essere sicuri, semplici, precisi e validati, avere un valore soglia concordato e adeguato, e dovrebbero essere accettabili per la popolazione. Vi sono numerosissimi questionari standardizzati, con buone proprietà psicometriche, per individuare la depressione. Tuttavia, la bassa prevalenza della depressione fa sì che anche gli strumenti più specifici e sensibili abbiano un basso valore predittivo positivo.
Anche l’accettazione da parte dei pazienti non è provata; la percentuale di pazienti che solitamente risponde ai test di screening è bassa e i medici stessi non utilizzano i test nella loro pratica clinica se non per scopi di ricerca. Perché lo screening sia utile è inoltre necessario che si disponga di una terapia efficace da somministrare nelle fasi precoci della patologia.
Le linee guida sulla depressione si focalizzano sulle depressioni moderate e severe, mentre le depressioni che non vengono identificate di solito sono lievi e spesso si risolvono senza alcun intervento. Inoltre, i trattamenti farmacologici e psicologici si rivelano meno efficaci in una depressione lieve rispetto ad una depressione
moderata. I medici di medicina generale, in questi casi, prescrivono dosi più basse di quelle terapeutiche e non proseguono il trattamento abbastanza a lungo da garantire la prevenzione delle ricadute; in questi casi la mancata aderenza al trattamento è molto frequente. Dalle considerazioni dell’articolo di Gilbody sembrerebbe che per la depressione non vengano rispettati i criteri proposti dal National Screening Committee.
Soprattutto, secondo il National Screening Committee, lo screening dovrebbe portare ad un aumento del riconoscimento, ad una migliore gestione e ad un migliore esito delle cure per la depressione. Al contrario, la revisione Cochrane, condotta dagli stessi autori, mostra come dare un feedback di routine ai medici non produca
miglioramenti importanti nella quantità di diagnosi per la depressione e come l’esito dei pazienti non migliori a 6-12 mesi come conseguenza dello screening. Uno studio precedente della US Preventive Services Task Force aveva ottenuto risultati lusinghieri, ma era basato su un intervento complesso, composto da una serie
di attività per i pazienti e per i medici, quindi non si poteva dimostrare che i risultati fossero dovuti solo allo screening. Le linee guida per la depressione nel Regno Unito prevedono lo screening anche per i gruppi ad alto rischio, ma in realtà non vi sono studi che valutino questo tipo di strategie, probabilmente perché si aggiungerebbe il problema di chi debba individuare i pazienti a rischio elevato (con malattie croniche, problemi di alcol, storia di depressione).
Infine, i programmi di screening, per diventare preferibili ad altri interventi, dovrebbero essere costo-efficaci, ma gli autori non hanno trovato studi che provassero questo fatto. Per essere ritenuto utile per la società, un programma di screening dovrebbe avere un costo/utilità inferiore ai 50.000 dollari per QALYs. Gilbody e colleghi hanno stimato che per ottenere questo risultato, la somministrazione, il calcolo dei punteggi ed il feedback per gli strumenti di screening (stampe, tempo degli impiegati amministrativi e tempo supplementare dei medici) dovrebbero costare meno di 3 dollari per paziente; la prevalenza della depressione dovrebbe essere più del 13% (cioè più alta di quanto normalmente si osserva nell’assistenza primaria), lo screening dovrebbe portare al trattamento di più dell’80% dei pazienti e si dovrebbero avere benefici e remissione dalla patologia in più dell’85% dei pazienti risultati positivi allo screening.
Gli autori concludono affermando che lo screening da solo non migliora la gestione e gli esiti della depressione, e che il rapporto costi/benefici è inaccettabile. Lo screening sembra efficace solo quando si trova inserito in pacchetti di cura, mentre è inutile quando proposto come unica soluzione per migliorare le cure.
COME RENDERE PIÙ DISPONIBILI LE TERAPIE PSICOLOGICHE Nell’articolo di Layard viene affrontato invece il problema del trattamento della depressione.
Le linee guida del NICE raccomandano la terapia cognitivo-comportamentale come uno dei trattamenti di cui i pazienti dovrebbero poter fruire per la depressione, in quanto, sulla base di dati ricavati da numerosi trial clinici, questa terapia è efficace quanto i farmaci nel trattare la depressione nel breve periodo e tende ad avere effetti più duraturi.
Nei servizi psichiatrici sono sempre disponibili i farmaci, mentre non sono altrettanto disponibili le terapie psicologiche: in Gran Bretagna, ad esempio, solo il 4% dei pazienti affetti da disturbi depressivi o ansiosi ha potuto usufruire di questo trattamento nello scorso anno. Queste nuove terapie si distinguono dalla psicanalisi
per la brevità (di solito si tratta di non più di 16 sedute), e la più studiata è stata la terapia cognitivo-comportamentale, che sembra molto efficace per questi due disturbi. Una terapia settimanale, secondo dati di ricerca, risolve il problema della depressione in 4 mesi e i rischi di ricadute sono minori rispetto a quanto avviene
con i farmaci; risultati anche migliori si hanno per i disturbi d’ansia. Il rapporto costo/efficacia per il trattamento farmacologico o psicologico è simile. Secondo l’autore, le terapie cognitivo-comportamentali dovrebbero essere finanziate dallo Stato: una terapia costa, infatti, circa 750 sterline per ogni paziente e gli effetti dovrebbero consentire al paziente circa un anno senza malattia e almeno un mese al lavoro in più. Il che significa, in termini di risultati, che il tempo in più da dedicare al lavoro è equivalente a più di 1880 sterline, mentre il valore delle sofferenze ridotte, in termini economici, si potrebbe considerare pari a circa 0,2 QALY, ovvero circa 6000 sterline (visto che un QALY ‘vale’, in linea con i valori usati dal NICE, 30.000 sterline). Inoltre, ulteriori risparmi per tutto il Servizio Sanitario Nazionale sarebbero rappresentati dal numero minore di persone che si aggraverebbe al punto da necessitare di ricoveri o di visite domiciliari, o che andrebbe molto frequentemente dal proprio medico di base, o richiederebbe consulenze e trattamenti per presunte malattie fisiche.
Dovendo stabilire su che scala è necessario e giustificabile un aumento di terapeuti in grado di fornire terapia cognitivo-comportamentale, l’autore calcola che, in Gran Bretagna, ci siano circa 800.000 pazienti l’anno che potrebbero ricevere una psicoterapia, e che siano per questo necessari circa 10.000 nuovi terapeuti.
L’autore propone la costituzione di centri per il trattamento psicologico, dove gli psicologi possano lavorare in gruppo, e dove i giovani possano venire motivati, supervisionati, sostenuti ed istruiti dai terapeuti più esperti. Questi gruppi dovrebbero lavorare in collaborazione con un centro principale, dove si collocherebbero i terapeuti esperti, e una serie di diramazioni sul territorio. In questo modo, i terapeuti esperti potrebbero fare la diagnosi iniziale e assegnare il paziente al terapeuta più indicato per il suo trattamento. Ci potrebbe essere, per tutti, un questionario breve per misurare i progressi dei pazienti, in modo tale da avere sia un costante monitoraggio, sia la possibilità di effettuare confronti a livello nazionale. La struttura in gruppi di lavoro permetterebbe anche
maggiore flessibilità per quanto riguarda gli appuntamenti e darebbe la possibilità ad ogni terapeuta di specializzarsi in una particolare area. La struttura centrale, invece, permetterebbe di avere una sede per gli eventuali convegni e per effettuare le visite senza che i pazienti debbano passare dal medico di base.
Secondo l’autore nel 2013 ci dovrebbe essere un centro per ogni 250.000 pazienti, il che significa circa 250 centri in tutto il Regno Unito, facendo nascere circa 40 centri ogni anno, dove ogni centro può servire per addestrare i terapeuti dei nuovi centri. L’alternativa sarebbe quella di un approccio più decentralizzato e localmente differenziato, che renderebbe però più difficile assicurare qualità e soddisfazione ai pazienti. Raggiungere un numero di interventi adeguato e garantire la qualità della terapia richiederebbe, nelle fasi iniziali, un forte impegno da parte del Ministero della Salute.
LA DEPRESSIONE COME DISTURBO CRONICO
Scott, nel suo editoriale, evidenzia come i disturbi depressivi vengano sottovalutati, mentre sono, secondo la World Bank, il primo contributo alla perdita economica globale per malattia negli adulti del mondo sviluppato.
Le due principali barriere ad una efficace gestione della depressione sono il suo mancato riconoscimento (nel 30% dei casi resta non diagnosticata) e il suo sottotrattamento (in più del 50% dei casi non viene trattata).
L’articolo di Gilbody suggerisce che lo screening non migliora i risultati a breve termine e non è costo-efficace, quindi non soddisfa i criteri richiesti dal National Screening Committee per garantirne l’introduzione. È peraltro vero che, in nessun tipo di disturbo, lo screening da solo è risultato uno strumento efficace, ma deve essere integrato in un programma mirato a migliorare il riconoscimento delle patologie e legato ad un approccio sistematico, non solo per il trattamento dei casi acuti, ma anche per la prevenzione terziaria.
Secondo l’autore abbiamo bisogno di uno spostamento di paradigma per riconoscere la depressione come un disturbo che può durare una vita, e che dovrebbe venire trattata attraverso una sequenza sistematica di interventi sia nelle fasi acute, sia nella fase di continuazione ed in quelle di mantenimento. I problemi nell’attuare
una simile strategia si possono ricondurre al fatto che si tratta di un disturbo sottotrattato (da una parte i medici non prescrivono dosi efficaci e dall’altra i pazienti non prendono i farmaci prescritti) e che sarebbe necessario un maggiore utilizzo delle risorse della medicina di base, già oltremodo stressata da altre forme di pressione. Inoltre, i medici spesso vedono un episodio depressivo come comprensibile nel contesto di vari fattori di vita stressanti o di vulnerabilità personali, ma normalizzare la depressione non esime dal trattarla.
Aumentare l’accesso ai servizi sarebbe utile se fosse attuato sulla base di interventi la cui efficacia è sostenuta dai dati, e che abbiano effetti durevoli sulle capacità di gestione individuali, in modo tale da ridurre il rischio di ricaduta dopo che viene interrotto il trattamento; non vi sono però prove che per raggiungere questo
obiettivo sia sufficiente un aumento di accessi ad un counselling non specifico. Anche l’aumento
di disponibilità per la terapia cognitivo comportamentale può essere un aiuto, ma in realtà i tassi di dropout sono simili a quelli dei farmaci, e non ci sono caratteristiche cliniche che permettano di predire se un paziente risponderà meglio al farmaco piuttosto che alla terapia cognitivo-comportamentale.
Secondo Scott, inoltre, non si può dire che individuare un maggior numero di casi ed avere trattamenti ‘evidence-based’ allontanerà le risorse da quei pazienti che hanno maggiori bisogni e maggiori possibilità di trarre beneficio, perché la depressione è il primo tra i disturbi che causano perdite economiche per la società,
è associata ad un rischio crescente di comorbilità con molti disturbi fisici importanti ed i pazienti con depressione non trattata si rivolgono al medico di base significativamente più spesso degli altri pazienti; quindi modificare la percezione della malattia e cambiare gli interventi che vengono fatti durante le visite mediche potrebbe essere più importante che assumere che l’unica alternativa sia rendere disponibile un maggior numero di visite.
Resta il problema economico, ovvero la disponibilità di risorse da utilizzare nei programmi di screening e trattamento. Se le risorse fossero allocate sulla base della perdita economica legata ad una malattia, la depressione sicuramente riceverebbe maggiori risorse dai servizi sanitari. In questo modo, le prospettive sarebbero di una maggior quantità di denaro per implementare più opzioni di trattamento. In ogni caso, il problema dei fondi non dovrebbe essere considerato una scusa per restare inattivi. Spesso, infatti, più che un incremento in termini assoluti delle risorse a disposizione di un servizio, conta la loro allocazione e corretta gestione.
Di: Francesco Amaddeo e Laura Grigoletti*
*Sezione di Psichiatria e Psicologia Clinica Dipartimento di Medicina e Sanità Pubblica Università di Verona
Riferimenti:
Gilbody S, Sheldon T, Wessely S Should we screen for depression? BMJ 2006; 332: 1027-1030
Layard R The case for psychological treatment centres BMJ 2006; 332: 1030-1032 Scott J Depression should be managed like a chronic disease BMJ 2006; 332: 985-986
Tratto da: Care – 4/2006
Tratto dalla rassegna stampa di www.giulemanidaibambini.org
Campagna sociale nazionale
contro gli abusi nella prescrizione
di psicofarmaci a bambini ed adolescenti