Articolo della psicologa Brunella Gasperini, per D, La Repubblica delle Donne
Un minorenne su 10, tra i 15 e i 16 anni, utilizza impropriamente ansiolitici e antidepressivi trovati in casa. E non va meglio quando vengono prescritti: una recente ricerca sostiene siano inefficaci o perfino dannosi. I dati a disposizione sulla sicurezza di questi trattamenti farmacologici sono ancora scarsi per trarre conclusioni, ma viene da chiedersi: quanto ancora non sappiamo?
Secondo uno studio condotto dall’Università di Oxford (Regno Unito) e pubblicato a giugno sulla rivista The Lancet, gli antidepressivi risultano inefficaci e anche dannosi per i bambini e gli adolescenti. La ricerca, guidata dal professor Andrea Cipriani, è consistita in una meta-analisi di tutti gli studi randomizzati pubblicati e non pubblicati sugli effetti di 14 antidepressivi tra i più utilizzati (amitriptilina, citalopram, clomipramina, desipramina, duloxetina, escitalopram, fluoxetina, imipramina, mirtazapina, nefazodone, nortriptilina, paroxetina, sertralina e venlafaxina) nei giovani di età compresa tra i 9 e i 18 anni con diagnosi di depressione maggiore (più di 5200 soggetti).
I ricercatori avvertono della necessità di ulteriori analisi prospettiche per rilevare rischi e benefici di questi farmaci e valutarne la reale efficacia (variazione dei sintomi depressivi e risposta al trattamento). Alcuni aspetti risultano infatti ancora poco chiari a causa del numero limitato dei casi clinici disponibili. Tuttavia lo studio evidenzia come solo uno dei farmaci, la fluoxetina (Prozac) risulti leggermente più efficace rispetto al placebo nell’alleviare i sintomi di depressione. Un vantaggio controbilanciato però dal consistente numero di effetti collaterali, tra cui un aumento di pensieri suicidari. Gli autori concludono che gli antidepressivi non risultano offrire un chiaro vantaggio per i bambini e gli adolescenti.
Conclusioni che hanno implicazioni importanti per la pratica clinica, come alcuni esperti hanno commentano. Dati provenienti da precedenti sperimentazioni cliniche avevano del resto già ipotizzato la possibilità di un aumento del rischio di “attitudine al suicidio” (idea o desiderio di suicidio, tentato suicidio, suicidio). E l’insufficienza dei dati nella letteratura sulla sicurezza di questi trattamenti farmacologici, e sugli effetti sul sistema nervoso centrale nei soggetti più giovani, inducono ad una estrema cautela sul loro utilizzo. Perché è preoccupante anche quello che ancora non sappiamo.
Il ricorso agli antidepressivi è invece negli ultimi anni aumentato in modo allarmante, ha avvertito l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Da uno studio uscito a marzo sulla rivista European Journal of Neuropsychopharmacology, risulta che l’aumento dell’uso dei farmaci antidepressivi prescritti ai minori, tra il 2005 e il 2012, è stato mediamente del 40% in cinque Paesi (Stati Uniti, Gran Bretagna, Germania, Danimarca e Olanda). Il problema riguarda anche l’Italia, seppur in misura minore. Il ricorso alla prescrizione di psicofarmaci non sembra aver subìto variazioni importanti ma sono tra i 20 mila e i 30 mila i minorenni italiani trattati con questo tipo di farmaci, secondo un report dell’Istituto di ricerche farmacologiche IRCCS Mario Negri. Dati che si basano sui ricorsi al Servizio Sanitario Nazionale e che quindi escludono un sommerso di cui non si conoscono le proporzioni. Secondo alcune stime, un minorenne su dieci tra i 15 e i 16 anni utilizza impropriamente ansiolitici e antidepressivi senza prescrizione medica (trovandoli in casa, adottando terapie dei genitori o dei nonni, anche di nascosto). Sono soprattutto ragazze.
Viene inoltre segnalato un altro aspetto preoccupante: farmaci sconsigliati per i minori – come ha dichiarato la Food and Drug Administration americana – ma ugualmente prescritti perché utilizzati comunemente nel trattamento della depressione negli adulti. Già nel 2005 un nota dell’Aifa (Agenzia Italiana del Farmaco) aveva segnalato questa situazione sulla base di un importante studio del 2004 pubblicato sul British Medical Journal che indicava come, tranne nei casi gravi, sia opportuno evitare antidepressivi ai più piccoli.
Questi numeri ci portano inevitabilmente ad alcune riflessioni. Sull’aumento del disagio giovanile in una civiltà come la nostra all’apparenza carica di stimoli e di opportunità, sul problema di una giusta diagnosi, di una presa in carico adeguata e di un sostegno all’intera famiglia. Sull’inadeguatezza degli strumenti di aiuto e di sostegno tra i servizi pubblici, sempre più “tagliati”, sprovvisti di risorse necessarie per far fronte alle richieste. Sul come il farmaco sia generalmente la prima opzione terapeutica offerta anche se come intervento di elezione in molte linea guida cliniche è raccomandato il trattamento psicologico – soprattutto in caso di minori – e quello farmacologico riservato solo ai casi più gravi ma comunque associato a interventi psicoterapici e psicopedagogici. Sulla comodità di questa soluzione probabilmente anche per gli adulti che si prendono cura di un bambino o di un ragazzo “depresso”. Sul bisogno di eliminare o controllare comportamenti problematici nei piccoli, anestetizzare l’angoscia, sfuggire il dialogo, evitare strade più impegnative ma probabilmente più efficaci. Sul significato del farmaco come scorciatoia per bypassare gli aspetti psicosociali del disagio, in linea con un approccio culturale alla malattia di tipo biologico che trasforma gli avvenimenti psichici in eventi chimici affidando il benessere ai medicinali.