di Barbara Gobbi e Manuela Perrone – fonte: IlSole24Ore
Undici anni: tanto ci è voluto perché il nuovo Manuale diagnostico e statistico per i disturbi mentali (Dsm-5)vedesse la luce. Undici anni segnati da feroci polemiche, eclatanti abbandoni, accuse e sospetti (i soliti: collusione con Big Pharma). Non è difficile capire perché: il manuale inventato nel 1952 dall’American psychiatric association (Apa) tenta l’impresa, apparentemente impossibile, di catalogare i disturbi della psiche sulla base dell’evidenza scientifica e di rincorrere insieme lo spirito del tempo (da qui, nell’ultima versione, l’inclusione del gioco d’azzardo patologico e dell’interne gaming). Inanellando per forza inciampi, confusioni e veri e propri errori.
Un’operazione di classificazione così ambiziosa, sicuramente utile agli psichiatri per avere una bussola che li aiuti a orientarsi e a prendere decisioni, non può pretendere di essere immune dai rischi che inevitabilmente comporta: il primo, e il più grave, è quello di medicalizzare la normalità ovvero di considerare patologici quei disagi e quelle oscillazioni che sono connaturati al nostro essere umani. Un rischio pericoloso per gli adulti ma pericolosissimo per i bambini.
Il più agguerrito critico del Dsm-5 è colui che presiedeva il gruppo di lavoro che ha portato alla stesura del Dsm-4, Allen Frances. Che si è scagliato con veemenza, ad esempio, contro la «sindrome psicotica attenuata». Che cos’è? L’etichetta trovata per quei piccoli che soffrono di allucinazioni e sentono voci, ritenuta da alcuni la prima manifestazione di una psicosi futura e dunque bisognosa di essere trattata, con e senza farmaci. Anche se le ricerche sul punto sono contraddittorie. Per Frances si trattava della peggiore singola proposta del Dsm-5. La discussione che ne è seguita ha fatto sì che venise derubricata alla sezione 3 del manuale, riservata alle condizioni da verificare. Ma il caso resta esemplare. «L’esperienza dolorosa con il precedente Dsm – ha scritto Frances – insegna che se qualcosa nel sistema diagnostico può essere usato male e può diventare una moda, così accade». La cautela, insomma, è d’obbligo.
A difendere il manuale è Claudio Mencacci, presidente della Società italiana di psichiatria: «Nessuna intenzione di considerare il Dsm-5 alla stregua di un testo sacro – spiega nel primo piano dedicato che Il Sole-24 Ore Sanità di questa settimana dedica all’argomento -, nessuna volontà di medicalizzare forzatamente i problemi esistenziali, ma un invito alla psichiatria a svolgere una più ampia azione di prevenzione e tutela della salute mentale della popolazione». Il 29-30 novembre la Sip dedicherà il suo congresso annuale, che si terrà a Firenze, proprio all’impatto del nuovo Dsm sulla realtà e pratica clinica del nostro Paese.
Molto più critica Emilia Costa, titolare della prima cattedra di Psichiatria della Sapienza di Roma e decana del comitato scientifico di “Giù le mani dai bambini”, che da sempre si batte contro l’ipermedicalizzazione dell’infanzia. Costa, come Frances, è una “fuoriuscita” dal gruppo di lavoro sul Dsm. Intervistata da noi, riconosce l’utilità del manuale «perché la comunità scientifica mondiale condivida gli stessi criteri diagnostici» ma aggiunge che «va saputo usare: accanto ai parametri clinici e strumentali, i colleghi devono usare quelli psicodinamici, relazionali e sociali che sono stati inseriti, purtroppo, solo in appendice». E dovrebbero ricordare, soprattutto quando hanno davanti i più piccoli, che «il farmaco deve essere l’ultima scelta dopo una serie di altri tentativi che possono andare dalla psicoterapia alle tecniche di rilassamento e meditazione».
Se Andrea Mazzeo, psichiatra del Cim di Lecce, sottolinea come la quinta edizione del Dsm sancisca la definitiva esclusione della cosiddetta “sindrome di alienazione parentale” (Pas) dal novero dei disturbi mentali ufficialmente riconosciuti dal mondo psichiatrico, Carlo Hanau, docente di statistica medica all’Università di Modena e Reggio Emilia e componente del comitato scientifico dell’Angsa (l’associazione nazionale delle famiglie di autistici), riconosce al manuale lo sforzo di porre rimedio alla grande confusione sulle diagnosi di autismo. Una sfida ancora tutta da giocare, anche perché la vera scommessa sarà riuscire a individuare le cause della malattia.